7 anni vissuti intensamente

Testimonianza di Stefano Ceccanti del Msac di Pisa negli anni ‘70

1. Dove trovai il Movimento

Il mio incontro col Movimento fu casuale, di quella casualità che il credente può pensare provvidenziale. Abitavo davanti all’Aeroporto di Pisa, allora estrema periferia: l’autobus che mi portava alla scuola media aveva la fermata davanti alla chiesa di S. Maria del Carmine. Qualche volta, quando ero in anticipo, passavo dentro la Chiesa facendo una breve pausa. Trovai lì i ragazzi del gruppo medie inferiori del Movimento che recitavano le lodi e mi aggregai. Da lì passai agli incontri in sede fino alla fine delle superiori. Non ero un militante modello: alle superiori alle lodi di mattina non andai più, al liceo andavo in motorino all’ultimo minuto, rispettando la mia pressione bassa fino a metà mattina. Se la preghiera fosse stata notturna ci sarei andato. Apprezzavo in particolare l’idea che la preghiera si facesse non direttamente a scuola, come proponevano altri gruppi, ma in una Chiesa vicina e che invece nella scuola (dove si avvisava delle lodi e della Messa settimanale) si organizzassero iniziative di confronto culturale per tutti. Apprezzavo anche l’idea che al Movimento si facesse una intensa opera di sensibilizzazione all’impegno politico, ma poi, anche se le persone in alcuni periodi erano quasi le stesse, le liste per le elezioni scolastiche si facessero con gruppi politici senza denominazione religiosa anche con persone non credenti e che, nel contempo, al Movimento qualcuno votasse anche per altre liste. Scelte niente affatto scontate perché in una città fortemente segnata da matrici culturali laiche e di sinistra una reazione più segnata identitaria sarebbe stata plausibile: ce ne erano delle tentazioni, che a me allora sembravano preoccupanti, ma rilette alla distanza riconosco che erano ben contenute.

2. Perché ci rimasi

La ragione di fondo per cui ci rimasi era la crescita culturale complessiva che non aveva paragoni rispetto alle parrocchie. In seconda media leggevamo in gruppo l’Apostolicam Actuositatem, partendo dal testo e cercando di vederne le conseguenze su di noi, ragionavamo sui vari meccanismi di selezione a scuola. Ai campi scuola si praticava la lettura intensiva della Bibbia e dei Documenti del Concilio: due testi inseparabili. All’inizio delle superiori lavoravamo sugli atti del Convegno ecclesiale nazionale “Evangelizzazione e promozione umana” (a cominciare dalla relazione di Franco Bolgiani che problematizzava l’unità politica dei cattolici) nonché sul documento dei vescovi cattolici francesi sui criteri del pluralismo politico (nel 2000 all’Unesco conobbi l’autore, mons. Matagrin, allievo di Mounier), discutevamo il volume di padre Sorge “Capitalismo, scelta di classe, socialismo” che cercava di trovare una risposta “riformista” ai temi dell’uguaglianza, in sintonia con quanto accadeva a livello macro, con le figure di Zaccagnini e di Moro, senza le quali in molti saremmo stati spinti a posizioni più radicali. Si studiava più che a scuola, si discuteva anche con una certa gamma di posizioni diverse e si allargava ulteriormente la prospettiva andando a iniziative nazionali. Questa accumulazione costante e progressiva è stata positiva per almeno due motivi. Il primo è che il Concilio letto e vissuto mi ha senz’altro evitato una radicale crisi di fede, che altrimenti sarebbe stata sicura visto il clima circostante e viste le mie caratteristiche personali allergiche al principio di autorità (come hanno sperimentato i pazienti assistenti ecclesiastici): non mi ha evitato di mettere in discussione un po’ tutto ciò che avevo ricevuto come educazione alla fede, ma a dosi ragionevoli, per strati successivi, e avendo la possibilità di cercare risposte nuove. In secondo luogo a me, che già allora ero più portato all’impegno sociale e politico, a cui davo spesso negli ultimi anni di liceo molto più tempo che non al Movimento, ha dato un metodo e uno spessore di ricerca necessario per fuggire alle due scorciatoie opposte del radicalismo e del pragmatismo. C’era qualche limite, che allora sopravvalutavo: per reazione alla radicalizzazione ecclesiale degli anni precedenti, nel clima finale del pontificato di Paolo VI e nel clima sociale segnato dal terrorismo, alcune aperture conciliari erano un po’ stemperate, la vita democratica interna era un pò compressa, ma si trattava comunque, come avrei capito meglio dopo, delle esperienze ecclesiali comparativamente più aperte.

3. Come incise sul dopo

Mi sono chiesto alla fine del liceo se non fosse venuto il momento di affiancare allo studio una scelta di fondo per l’impegno politico. In condizioni “normali” lo avrei fatto e credo che la formazione ricevuta sarebbe stata anche sufficiente. Ma allora, agli inizi degli anni ‘80, e senza nulla negare a chi ha osato allora fare quella scelta, si intravedevano già le degenerazioni della politica che sarebbero esplose in seguito. Per cui, fatti gli orali della maturità, senza aspettare i risultati, presi un treno per Camaldoli, per le Settimane Teologiche della Fuci, per altri 7 anni di impegno ecclesiale e culturale.

Un Commento a “7 anni vissuti intensamente”

  1. simone guerrini scrive:

    Simone Guerrini Msac Pisa anni 70

    Il Msac è stato come un inizio. Sì si andava in Chiesa la Domenica ma, fino a quel momento, vivevo una religiosità elementare costruita attorno alle tappe canoniche guidate più dalla famiglia che da una partecipazione personale intensa. Era la fine degli anni 70; la prima svolta scolastica dalle scuole medie inferiori a quelle superiori e sempre su invito di amici dei miei, timido e perplesso, fui invitato ad una serata dal MSAC pisano, vera fucina di pensiero e di azione evangelizzatrice.

    Rimasi colpito dalla voglia di capire, dalla curiosità di porsi domande e andai al mio primo Campo Scuola. Fu una scoperta eccezionale in positivo ed in negativo. Si affrontavano tematiche difficili per un ragazzino di 14 anni che, fino allora, aveva visto più le palestre di basket che i documenti del Concilio. Ma al di là della provocazione intellettuale che, specie in quegli anni, dominava le nostre riflessioni apprezzavo molto la voglia di vivere un’esperienza religiosa consapevole, il desiderio di annunciare una “novità” e di farlo nel mondo della scuola senza pretese esclusiviste senza tracotanza ma per essere sale del mondo. Insomma uno choc che ha generato una volontà, poi mai sopita, di uscire da una dimensione intimistica della propria fede per aprirsi al mondo. Ecco credo che il Msac mi abbia profondamente modificato rendendomi consapevole che un dono ricevuto doveva produrre frutti.
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    Da quella prima esperienza è nata la mia predilezione per il versante socio politico. Altri ho visto hanno ricordato i convegni ecclesiali di evangelizzazione e promozione umana pietre miliari per la mia formazione religiosa ed umana così come le prime esperienze degli organi collegiali luoghi di impegno e di confronto non solo politico ma anche valoriale. Nascono i nostri primi dibattiti sulla distinzione tra fede e politica che non è mai separazione e cresce la volontà di non arrendersi di fronte alla violenza brigatista e stragista della fine degli anni settanta. Le liste studentesche e le assemblee infuocate generavano la tentazione di reciproche chiusure che proprio la formazione del Msac mi aiutavano a comprendere fossero inadeguate e così, distinguendo l’impegno politico dalle attività del Msac, molti di noi iniziarono esperienze di partecipazione che allora definivamo “prepolitiche”. Queste ultime hanno segnato, in modo permanente, la mia formazione ed il mio impegno che si è poi tradotto in militanza politica giovanile fino ai vertici del Movimento Giovanile della Dc di cui fui delegato Nazionale dal 1988 al 1992. Anche oggi nella mia vita professionale di dirigente di azienda, di padre di due splendidi figli e di marito cerco, con alterne fortune, di ricordare che esiste una dimensione necessariamente sociale della propria fede che nella distinzione dei piani e dei ruoli, non può essere trascurata se si vuole vivere una pienezza di vita.
    Quali insegnamenti?
    Direi che la fede non può essere vissuta in una dimensione meramente utilitarista ed intimistica ma di dedizione al prossimo vicino e lontano. Secondo che pur nello scontro e nel confronto politico non si può tacere la verità e che la mediazione politica, pur necessaria, non può essere il fine dell’azione politica che infine l’attenzione agli “ultimi”mai così poco di moda nell’attuale fase del tutto è spettacolo e tutto deve essere protervia di ricchezza e potere è il faro dell’azione politica. Infine che la fede è un cammino che richiede continui arricchimenti. Spesso invece travolti dalla quotidianità rischiamo di farla appassire. Grazie allora per avermi dato la possibilità di un ricordo che è anche un nuovo inizio.