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7 anni vissuti intensamente

sabato, 23 gennaio 2010

Testimonianza di Stefano Ceccanti del Msac di Pisa negli anni ‘70

1. Dove trovai il Movimento

Il mio incontro col Movimento fu casuale, di quella casualità che il credente può pensare provvidenziale. Abitavo davanti all’Aeroporto di Pisa, allora estrema periferia: l’autobus che mi portava alla scuola media aveva la fermata davanti alla chiesa di S. Maria del Carmine. Qualche volta, quando ero in anticipo, passavo dentro la Chiesa facendo una breve pausa. Trovai lì i ragazzi del gruppo medie inferiori del Movimento che recitavano le lodi e mi aggregai. Da lì passai agli incontri in sede fino alla fine delle superiori. Non ero un militante modello: alle superiori alle lodi di mattina non andai più, al liceo andavo in motorino all’ultimo minuto, rispettando la mia pressione bassa fino a metà mattina. Se la preghiera fosse stata notturna ci sarei andato. Apprezzavo in particolare l’idea che la preghiera si facesse non direttamente a scuola, come proponevano altri gruppi, ma in una Chiesa vicina e che invece nella scuola (dove si avvisava delle lodi e della Messa settimanale) si organizzassero iniziative di confronto culturale per tutti. Apprezzavo anche l’idea che al Movimento si facesse una intensa opera di sensibilizzazione all’impegno politico, ma poi, anche se le persone in alcuni periodi erano quasi le stesse, le liste per le elezioni scolastiche si facessero con gruppi politici senza denominazione religiosa anche con persone non credenti e che, nel contempo, al Movimento qualcuno votasse anche per altre liste. Scelte niente affatto scontate perché in una città fortemente segnata da matrici culturali laiche e di sinistra una reazione più segnata identitaria sarebbe stata plausibile: ce ne erano delle tentazioni, che a me allora sembravano preoccupanti, ma rilette alla distanza riconosco che erano ben contenute.

2. Perché ci rimasi

La ragione di fondo per cui ci rimasi era la crescita culturale complessiva che non aveva paragoni rispetto alle parrocchie. In seconda media leggevamo in gruppo l’Apostolicam Actuositatem, partendo dal testo e cercando di vederne le conseguenze su di noi, ragionavamo sui vari meccanismi di selezione a scuola. Ai campi scuola si praticava la lettura intensiva della Bibbia e dei Documenti del Concilio: due testi inseparabili. All’inizio delle superiori lavoravamo sugli atti del Convegno ecclesiale nazionale “Evangelizzazione e promozione umana” (a cominciare dalla relazione di Franco Bolgiani che problematizzava l’unità politica dei cattolici) nonché sul documento dei vescovi cattolici francesi sui criteri del pluralismo politico (nel 2000 all’Unesco conobbi l’autore, mons. Matagrin, allievo di Mounier), discutevamo il volume di padre Sorge “Capitalismo, scelta di classe, socialismo” che cercava di trovare una risposta “riformista” ai temi dell’uguaglianza, in sintonia con quanto accadeva a livello macro, con le figure di Zaccagnini e di Moro, senza le quali in molti saremmo stati spinti a posizioni più radicali. Si studiava più che a scuola, si discuteva anche con una certa gamma di posizioni diverse e si allargava ulteriormente la prospettiva andando a iniziative nazionali. Questa accumulazione costante e progressiva è stata positiva per almeno due motivi. Il primo è che il Concilio letto e vissuto mi ha senz’altro evitato una radicale crisi di fede, che altrimenti sarebbe stata sicura visto il clima circostante e viste le mie caratteristiche personali allergiche al principio di autorità (come hanno sperimentato i pazienti assistenti ecclesiastici): non mi ha evitato di mettere in discussione un po’ tutto ciò che avevo ricevuto come educazione alla fede, ma a dosi ragionevoli, per strati successivi, e avendo la possibilità di cercare risposte nuove. In secondo luogo a me, che già allora ero più portato all’impegno sociale e politico, a cui davo spesso negli ultimi anni di liceo molto più tempo che non al Movimento, ha dato un metodo e uno spessore di ricerca necessario per fuggire alle due scorciatoie opposte del radicalismo e del pragmatismo. C’era qualche limite, che allora sopravvalutavo: per reazione alla radicalizzazione ecclesiale degli anni precedenti, nel clima finale del pontificato di Paolo VI e nel clima sociale segnato dal terrorismo, alcune aperture conciliari erano un po’ stemperate, la vita democratica interna era un pò compressa, ma si trattava comunque, come avrei capito meglio dopo, delle esperienze ecclesiali comparativamente più aperte.

3. Come incise sul dopo

Mi sono chiesto alla fine del liceo se non fosse venuto il momento di affiancare allo studio una scelta di fondo per l’impegno politico. In condizioni “normali” lo avrei fatto e credo che la formazione ricevuta sarebbe stata anche sufficiente. Ma allora, agli inizi degli anni ‘80, e senza nulla negare a chi ha osato allora fare quella scelta, si intravedevano già le degenerazioni della politica che sarebbero esplose in seguito. Per cui, fatti gli orali della maturità, senza aspettare i risultati, presi un treno per Camaldoli, per le Settimane Teologiche della Fuci, per altri 7 anni di impegno ecclesiale e culturale.

100 anni Msac

sabato, 23 gennaio 2010

Testimonianza di Fabio Porta – Segretario nazionale Msac

Che degli ormai prossimi centocinquant’anni della storia d’Italia cento abbiano coinciso con quelli dell’organizzazione degli studenti dell’Azione Cattolica (prima GS, poi MSAC) è un dato forse non direttamente rilevante ma sicuramente interessante.

Un elemento in più per avviare una serena riflessione per quanti, come me, hanno vissuto magari soltanto una minima parte di questa storia; una parte limitata nel tempo, forse, ma sicuramente dilatata e dirompente nelle sue innumerevoli traduzioni nel vissuto quotidiano, nella vita e nella testimonianza cristiana, nella sempre difficile ma entusiasmante avventura umana di ogni giorno.

Mi sono avvicinato al Movimento Studenti grazie ad un incontro; banalmente e straordinariamente, come di solito avviene in tutte le piccole e grandi esperienze di fede e di impegno cristiano.

Padre Enzo Mangano, l’assistente diocesano del Msac di Caltagirone (che venti anni dopo avrei ritrovato in Brasile !), aveva la folle ambizione di riunire intorno all’idea della pastorale studentesca un gruppo di giovanissimi studenti medi che fino ad allora erano rimasti fuori da tutti i circuiti tradizionali dell’associazionismo cattolico (parrocchie, movimenti ecclesiali, gruppi di preghiera, etc…).

Si formò così un gruppetto eterogeneo quanto motivato di studenti che, grazie alla figura carismatica del nostro assistente ed al naturale entusiasmo dei neofiti, si mise subito in evidenza ed anzi mise all’ordine del giorno della pastorale diocesana il tema della pastorale d’ambiente.

Evangelizzazione e promozione umana, due termini che fino ad allora erano stati per me appena uno slogan ascoltato in TV, divenivano un binomio inscindibile e vitale intorno al quale costruire il mio impegno personale e la storia che ne sarebbe seguita: un apostolato missionario, fresco e giovane soprattutto, ma fortemente rispettoso e radicato nella condivisione diocesana intorno alla figura centrale del Vescovo pastore.

Dall’esperienza siciliana a quella… romana il passo è breve: i campi scuola estivi di quegli anni, organizzati a livello nazionale a Bagni di Nocera o a Prato, avrebbero provveduto a costruire quel legame umano e spirituale che mi portò poi ad accettare la proposta di integrare il centro nazionale di AC, caldeggiata da un’altra figura straordinariamente forte e mite allo stesso tempo, don Giuseppe Valenzise, l’assistente nazionale del Msac, su proposta del gruppo dirigente nazionale.

Era per me la continuazione di un percorso, che dava senso e corpo alla spiritualità dello studio che avevo iniziato a coltivare negli ultimi anni di liceo e che l’esperienza universitaria mi consentiva di mettere alla prova.

Tutto questo all’interno di un nuovo gruppo, altrettanto e forse più motivato di quello che lasciavo in Sicilia, formato da giovani che come me avevano lasciato le proprie case per vivere a Roma la straordinaria esperienza del centro nazionale e dei “pensionati” (le residenze dove venivamo alloggiati) dell’Azione Cattolica.

Accanto all’esperienza umana individuale, unica ed irripetibile (e, direi, anche difficile da trasmettere nei suoi infiniti aspetti che la caratterizzavano), prende corpo quella associativa.

Arriva prestissimo, pesante come un macigno, la responsabilità di Segretario Nazionale che – fortunatamente e saggiamente – allora condividevamo in due (uomo-donna); il mio alter-ego femminile era Luisa Prodi, alla quale devo – insieme a Piero Lauriola, che con Luisa ha condiviso l’ultima parte del mandato di Segretario Nazionale – tantissimo, in termini di solidarietà umana, esperienza, competenza e spiritualità.

Il Msac di allora era forte in alcune aree, meno in altre, come è normale in tutte le esperienze pioniere e in qualche modo profetiche.   Alcuni gruppi erano “mitici”, nel senso che ne sentivo parlare in maniera quasi eroica se non timidamente rispettosa: mi riferisco ai gruppi di Lodi e Crema, Brindisi e Padova, Pisa e Bari.   Altri erano invece “emergenti”, si imponevano cioè per vitalità e innovazione: parlo di Castellammare di Stabia e Perugia, Ferrara e Napoli, Napoli e Udine.   Sono solo alcuni esempi ovviamente, utili però a comprendere come il lavoro nazionale era comunque tradizionalmente supportato da alcune esperienze locali, a sua volta “pioniere nel pionierismo” generale di quell’esperienza.

Con questa “allegra ma forte brigata”  abbiamo dato vita ad un percorso incredibilmente ricco e profondo di studio e riflessione, non solo sulle motivazioni che stavano alla radice del nostro impegno cristiano ma anche sulle tematiche direttamente legate alla scuola ed alla educazione: la riforma della media superiore, la carta dei diritti e dei doveri degli studenti, l’educazione civica.

Lo abbiamo fatto anche attraverso di alcune importanti e specifiche iniziative, grazie alle quali abbiamo voluto (e spero saputo) coinvolgere le realtà locali affrontando temi puntuali ed attuali: la lotta alla criminalità organizzata a Napoli, l’informazione e la stampa studentesca a Perugia, la lotta alla dispersione scolastica a Roma.  E, a proposito di informazione (non erano ancora gli anni di internet) utilizzando al massimo e in maniera creativa il nostro giornale rivolto all’esterno “P&D – Presenza e Dialogo/Studenti” e la rivista per i quadri “Responsabilità/Studenti”.

Sullo sfondo di tutto ciò si stagliava in quegli anni (parlo degli anni’80), il magistero e la prorompente figura di Papa Giovanni Paolo II, che ci provocava quotidianamente rimettendo talvolta in discussione le nostre comode certezze di cattolici della domenica, spronandoci con il suo esempio oltre che con la sua parola a dare un significato all’avventura cristiana di ognuno di noi.

Ricordo quando, a pochi giorni dalla mia elezione a Segretario Nazionale del Msac, fui chiamato a porgere a nome di tutti gli studenti di AC il saluto al Papa in Vaticano: a me, giovane ventenne, tremavano le gambe e – soprattutto – faceva fatica ad uscire la voce di fronte al Vicario di Cristo, così semplice ma anche così imponente davanti a me.   Presi il coraggio a due mani e con tutta la fede e l’incoscienza di quegli anni, lessi quasi mordendo il microfono le due cartelle che avevo letto e riletto con Luisa fino a qualche minuto prima.   Il Papa ascoltò, pronunciò un breve ma bellissimo discorso esortandoci a “non avere paura di annunciare Cristo a scuola”, si avvicinò al sottoscritto, mi chiese il nome e lo ripetè più volte: “Fabio, Fabio…”, toccandomi la testa in segno di benedizione.

Le forza delle parole e dell’esempio di Giovanni Paolo II hanno un effetto diretto sulla nostra azione pastorale di quegli anni; sono soprattutto i giovani dell’Azione Cattolica, gli studenti e l’ACR a cogliere in pieno la portata quasi rivoluzionaria di quel magistero.   Ci buttiamo con un entusiasmo davvero sorprendente e indimenticabile nel difficile ma ambizioso tentativo di conciliare la cosiddetta “scelta religiosa” di Bachelet con la dovuta testimonianza pubblica e la scelta degli “ultimi”, incoraggiati proprio dai ripetuti e decisi appelli del Pontefice.

Un’altra storia, che non sto qui a raccontare (meriterebbe un capitolo a parte) porterà poi alle dimissioni di questo gruppo dirigente (Msac, Giovani, Acr) in polemica con le gerarchie laiche ed ecclesiastiche di allora.   Un episodio ormai lontano, anche se vivissimo nel ricordo di chi lo ha vissuto in prima persona; anche quella però un’esperienza unica, pur nella complessa contraddittorietà che non poteva non caratterizzare un simile episodio.

Msac, 100 anni: quante storie, personali e non, si possono intrecciare in un periodo così lungo e fecondo?   Quanti studenti sono passati nelle nostre sedi, hanno partecipato ai nostri incontri, ai nostri campi scuola?   Tanti indubbiamente, tanti.

Ovviamente non saranno i numeri a determinare il bilancio di questi anni.

Il bilancio sarà tracciato grazie al fascio di luce, al seme di verità che ognuno di noi avrà saputo lanciare sulla propria esistenza e su quella degli altri, in un ideale abbraccio tra generazioni e territori diversi, tutti impegnati nel testimoniare il Vangelo ovunque ci sia un uomo, a partire da chi è più solo e lontano.

Il Msac…facciamolo per i nostri figli!

sabato, 23 gennaio 2010

Testimonianza di Elena Cappellozza – Collaboratrice nazionale Msac

Cos’è stato per me il MSAC? AMICIZIA, IMPEGNO, CRESCITA e … un’ancora di salvezza! Sono quell’esperienze che ci si finisce dentro un po’ per caso, perché un’amica t’invita ad una pizza un sabato sera e poi ti ritrovi collaboratrice a Roma! Magari non ti senti più con loro, ma i volti dei ragazzi e delle ragazze conosciute in tutta Italia, sono ancora dentro di me. Non è un eufemismo ma è realtà, una cara realtà, ognuno di loro ti lascia dentro un mattoncino e tutti questi mattoncini ti fanno crescere. Ora il mio lavoro è quello di mamma e il mio hobby è l’ACR. Perché? Perché dopo tanti viaggi in treno, tanti convegni e tante relazioni ascoltate, credo vivamente nella Forza che l’AC ha all’interno delle nostre parrocchie.  Da noi non c’è ancora, ma 5 anni fa ho scelto di buttarmi nell’avventura del catechismo (ma era già taroccato acr… tranquilli, ora lo sanno e domenica prossima andiamo per la prima volta insieme alla Festa del Ciao) proprio perché credo di doverlo al MSAC e all’AC tutta. Mi è stato vicino in quel mitico momento di crisi per ogni adolescente e credo che possa ancora farlo, per i miei ragazzi del gruppo che sono ad un passo dall’arrivarci, per i miei figli e per tutta la mia comunità parrocchiale.

Un’ultima riflessione: cari “vecchi” msacchini, le nostre parrocchie e l’associazione tutta ha bisogno di noi. Coraggio quindi, facciamolo per i nostri figli!