Testimonianza di Alfredo Givigliano
Da dove comincio? Come posso parlare in così poco spazio di una cosa così tanto importante per me, per quello che sono, per quello che è stata la mia vita dall’estate prima dell’inizio del liceo fino ad oggi, per quello che sarò domani. Dovrei scrivere ogni singolo istante che ho trascorso dal giorno in cui Vittorio (si chiamerò tutti per nome o con il “loro” nome) mi ha proposto di partecipare a quel campo estivo di una cosa strana chiamata M.S.A.C.. Certo che ci vado, non si dice mai di no ad un camposcuola diocesano, soprattutto se è il primo che faccio al mare. Era il 1987. Quello è stato l’inizio, l’inizio di una qualcosa che non finisce… come faceva quella canzone? «…la nostra festa non deve finire e non finirà. Perché la festa siamo noi e camminiamo verso te…» questo è il M.S.A.C. per me, una festa, una strada mai da solo e mai senza una direzione.
Sono alla scrivania, alzo lo sguardo e vedo una foto, un ragazzino di 15 anni che parla davanti ad un microfono con una felpa di David Bowie, mi sembra ancora di sentire il tremolio di quella voce, con sullo sfondo un cartellone che dice «Dire Dio nella scuola oggi». È il 1989. È dicembre, il primo congresso nazionale dopo quell’indimenticabile camposcuola nazionale a Castel di Tora. Il ragazzino parla e mentre lo fa guarda tra le persone che gli sono sedute davanti, persone che conosce da tanto e persone che ha appena conosciuto. Persone che erano con lui allora e che sono ancora insieme a lui, in tutto quello che pensa e fa.
C’erano 2 espressioni in quegli anni che parlavano al mondo dell’Azione Cattolica e del suo Movimento Studenti; Nuova Evangelizzazione e Inculturazione della fede. Due espressioni, due progetti che mi rendo conto solo ora sono diventati davvero uno stile di vita con alti e bassi, come tutte le cose, con cadute e ritorni in piedi, ma mai da solo.
Il M.S.A.C. cos’è per me? È quello che faccio ogni giorno quando vado in Università e sono in mezzo ad una serie di ragazzi che vengono fuori da una scuola superiore così diversa da quella davanti alla quale mi ha chiesto i documenti la Digos mentre distribuivo i volantini che invitavano alle riunioni settimanali del sabato. Non è presunzione, è solo che sarei una persona diversa se non avessi incontrato, se Qualcuno non mi avesse messo davanti la possibilità di scegliere di dire questo si, questo movimento. Ma un movimento non è nulla se non c’è chi lo fa muovere.
Che cos’è il MS.A.C. per me…? Ci sarebbero mille parole da mettere insieme, mille concetti profondi da battere su questa tastiera, mille frasi ad effetto… ma chi ci sarebbe dentro queste frasi, chi ci sarebbe a riempire questi concetti, chi ci sarebbe dietro queste parole…? Questo è il M.S.A.C. per me.
È Vittorio con Vania che ci insegnano Un nuevo sol in un cortile a settembre. È Giovanna con Enzo e Don Attilio che si arrabbiamo con i Birra’s Brothers (il ragazzino con la felpa di Bowie, Roberto, Nicola, Nico, Vincenzo “James Bond”, e poi Francesco, fratelli davvero) perché dormono 3 ore a notte ma durante i lavori al camposcuola sono quelli che ci mettono tutto loro stessi, perché CI CREDONO. È Enrico, Michele, che si sforzano di fare i burberi, ma che danno forse anche più di quello che pensano se ancora sono qui a scrivere di loro. È Daniela, Laura, Antonella, Daniela, Letizia, Giulia, con la loro gioia di vivere e di scherzare in quella camera a prendere in giro i puntini sospensivi di una lettera. È Annalisa, ritrovata con una cartolina da Dublino, che un giorno racconterà al suo piccolino di quei matti che volevano parlare di Dio a scuola. È Antonella, Benny, Giuseppe “Robocop”… e tutti gli altri che le emozioni ora mi fanno scorrere davanti agli occhi e che ritrovo, ognuno di loro, in una espressione che dico, in un gesto che faccio, in una smorfia, in un libro, in una canzone.
È Qualcuno che si è mostrato in questi 1000 volti, in questi 1000 nomi. Qualcuno che ci ha solo chiesto di essere noi stessi nel posto più difficile, nella vita di tutti i giorni, a scuola, e noi, Lo abbiamo ritrovato in quelli che ci stavano vicini, che si muovevano. Posso solo dire grazie.
Il ragazzino con la felpa di David Bowie (Alfredo)
bruttissimo articolo … na schifezza … na cacata!
l’articolo non è male … è molto lungo e molto cose non sono vere, sono “erratissime”! ma pazienza la cultura non si trova in tutti i supermercati! la trovata di chiamare le persone per nome è davvero deprimente però!
rimuovere i commenti è tristissimo!!!
carissimo, noi non rimuoviamo i commenti. semplicemente era da un po’ di tempo che non monitoriamo il sito
d’altro canto, prima di postare il tuo, ti chiederei di approfondire le motivazioni del tuo giudizio. va benissimo dire schifo, ma va detto, anche senza troppa diplomazia purché le ragioni ci siano effettivamente, perché
saretta