CONTESTAZIONE STUDENTESCA E PROPOSTA DI VITA CRISTIANA
Una rilettura della Scuola italiana in fermento alla fine degli anni ’60, nel racconto di uno dei Responsabili M.S.A.C di allora. A cura di Paolo Cosci Delegato naz. Studenti GIAC, anni 1967-‘70
Negli anni ’60, l’Azione Cattolica era definita come “Scuola di vita cristiana per la santificazione del mondo e Realtà associativa per la collaborazione dei laici all’azione apostolica della Chiesa” . Una definizione molto impegnativa, per la maturità da raggiungere sul piano personale dopo le prospettive aperte dal Concilio Vat. II ( la Chiesa come Popolo di Dio in cammino nella storia-) che, riconoscendo la missionarietà di ogni battezzato, proponeva al laicato maturo e organizzato l’assunzione di dirette responsabilità nella trasformazione della società e della storia a partire dalla concreta realtà degli ambienti di vita; ma anche perché nella vivace ma non sempre omogenea fase di rinnovamento post-conciliare, ai membri di Azione Cattolica veniva proposta una più diretta e organica collaborazione con i Vescovi-Pastori, impegnati a risvegliare e riorientare le Comunità locali del Paese. Specifica dell’A.C era quindi una più stretta e filiale collaborazione con i Vescovi; una fedeltà divenuta tradizionale per l’A.C. che si ispirava in questo all’esempio di quegli uomini e donne che liberamente aiutavano l’apostolo Paolo nella evangelizzazione. Il Documento conciliare “Apostolicam actuositatem” , al comma 20 riconosceva la peculiarità di questo impegno.
Ma come fare per attualizzare nell’Italia del 1968 questa prospettiva di formazione alla vita cristiana e di collaborazione ecclesiale in in una società in forte evoluzione e in un mondo giovanile in fermento e che comprendeva più di 2 milioni di giovani studenti –ancora adolescenti- frequentanti i circa 2mila Licei e Scuole Medie Superiori?
Il retroterra dei ‘Moti studenteschi’ del 1968 Gli anni ’60 avevano visto in tutta Europa una forte “accelerazione della storia”ma anche un irrigidimento tra blocchi di potere nel mondo, a vari livelli. Una medaglia a due facce , con molti fatti contrastanti: ricordiamo ad es la recente indipendenza e decolonizzazione di molti Paesi del 3° mondo, ma anche il permanere dello sfruttamento degli Stati del Sud e il tentativo di reprimere ogni tentativo dei Movimenti di liberazione o le insurrezioni popolari alla Che Guevara; ricordiamo il fenomeno dell’ascesa negli USA dei fratelli Kennedy e dell’accendersi di speranze mondiali, ma anche il loro tragico epilogo; oppure la rivoluzione culturale delle guardie rosse di Mao e l’escalation della guerra in Viet Nam; le affascinanti esplorazioni dello spazio e le sonde nel sistema solare, ma anche la dura contrapposizione della Guerra fredda e l’equilibrio del terrore basato sulle atomiche. E così via. Fin quando nel 1967-’68 nelle maggiori Università americane ed europee, gli studenti fecero da detonatore a una situazione di tensione generalizzata, e con sorpresa riuscirono a riportare l’attenzione sulle cause generatrici di tante ingiustizie, interne ed esterne, di sfruttamento e disequità delle società contemporanee. Fu inevitabile che questa più spiccata sensibilità sociale, passasse in fretta anche alle più giovani generazioni degli studenti delle Scuole secondarie superiori. Così per la prima volta, a Est come a Ovest dell’Europa, in forme rapidamente espansive, il mondo studentesco si presentava non solo come coscienza critica delle principali contraddizioni della società contemporanea, ma anche come forza sociale di contestazione, talora di violento scontro verso” il Sistema” nella sua globalità.
Alcuni esempi internazionali di agitazione e rinnovamento succedutisi nell’arco di pochi trimestri.
In Spagna il Movimento studentesco cercò di sfidare il Franchismo, per la prima volta dopo 40 anni di regime. In Belgio la contestazione si orientò alla iniziazione politica dei giovani, con richieste di politiche di maggiore equità. In Francia, a partire dalla Sorbona e dal Quartiere latino si scatenò una spirale di azione violenta contro lo Stato gollista, ritenuto accentratore e autoritario, contribuendo così alla sua caduta definitiva. In Germania occidentale gli studenti provocarono un brutto risveglio alla classe al potere e alla società opulenta da ormai molti anni, suscitando una radicalizzazione della lotta, fino alla formazione di estreme bande rivoluzionarie. A Praga gli studenti lottarono contro il dogmatismo e l’oppressione della vecchia generazione comunista legata ai sovietici, che negava nelle fabbriche e nella società qualsiasi innovazione di tipo partecipativo… .
Anche nelle Università italiane, da Pisa a Trento, da Roma a Padova, da Torino a Bologna, ecc. fu tutto un fiorire di “collettivi”, di occupazioni, di assemblee di striscioni scritti a mano, di proclami al megafono, di cortei e manifestazioni di piazza e di scontri per rivendicare l’autonomia e l’alternativa al Sistema..
Il clima sociale-culturale-politico dell’Italia. In Italia a 25 anni ormai dalla fine della 2° Guerra mondiale, si stava esaurendo la fase propulsiva ed organica dello sviluppo e del boom economico. Al culmine di due decenni di intensa ricostruzione delle infrastrutture del Paese e al culmine di una lunga fase di industrializzazione pesante, le principali città si erano raddoppiate; riempite di masse di emigrati dal Sud al Nord, dalla campagna alla grande città. Il PIL era cresciuto e l’auto si era diffusa come bene di massa. Ma i nuovi cittadini restavano accasati alla meglio in borgate popolari anonime, isolate, non urbanizzate, seppure di recente formazione. Quartieri- dormitorio, gravemente privi di servizi. Anonimia e individualismo degli abitanti, non coperti da forme di solidarietà di vicinato, magari fossero stati serviti da oratori e strutture parrocchiali come una volta! L’uomo comune si sentiva abbandonato a se stesso e la sua famiglia sempre più spesso messa in difficoltà da diritti negati, da un mercato del lavoro in forte rallentamento. Nuovi e vecchi insediamenti accoglevano lavoratori, alienati nel processo produttivo di massa, destinati unicamente ad aprirsi a consumi di massa e …a godersi trasmissioni nazional-popolari e altri spettacoli di evasione, quasi fatti apposta per stordire e far dimenticare la realtà.
La permanente crisi della Scuola italiana degli anni ‘60. L’estensione dell’obbligo scolastico dapprima alla 3° Media unificata,e poi fino ai 16 anni con il biennio delle superiori, aveva certo riempito gli Istituti fino all’inverosimile. Ma la scuola -giudicata dal punto di vista degli studenti- non significava ancora garanzia di maturazione personale alla vita adulta, inserimento nella vita civile e speranza certa di un posto di lavoro, una volta ottenuto il diploma. La scuola mal programmata diveniva parcheggio delle giovani generazioni…Ad es. nel ’68 dagli Istituti Magistrali uscivano 30mila diplomati/anno a fronte di soli 3500 posti di insegnamento mediamente disponibili ogni anno.Oppure a Roma su 170 diplomati/anno di Periti in fisica nucleare, solo 5 potevano essere assorbiti dal mercato del lavoro.Ancora nel 1968 in Italia il 92% dei laureati proveniva dai ceti privilegiati della società, mentre i figli di lavoratori-dipendenti costituivano solo l’8% del totale dei laureati.
Dubbia quindi l’ugaglianza nelle opportunità di partenza e molto incerto l’accesso al lavoro, di fatto non considerato come un prioritario diritto di cittadinanza, iscritto nelle Costituzione. La scuola degli anni ’60 rimaneva classista (Vedi ‘Lettera a una professoressa’ di Don L.Milani); sostanzialmente risultava ancora frutto delle storiche Riforme Casati e Gentile, che a monte frenavano la mobilità sociale, stabilendo una netta e precoce separazione tra scuole come i Licei, voluti per la formazione delle élite dirigenti del domani e d’altro lato la manodopera tecnica, da formarsi nelle Scuole ad indirizzo professionale. Ma anche a valle, all’interno dell’Istituzione scuola, metodi pedagogici e contenuti formativi …facevano acqua!.
Le scuole nei loro programmi restavano conservatrici, piene di inutili autoritarismi, nozionistiche, organizzate solo per lezioni frontali, scarse di laboratori di ogni tipo, acritiche dello sviluppo sociale. Troppo spesso non si preoccupavano di valorizzare le attitudini degli allievi. La preminenza data alla applicazione dei Programmi ministeriali (quasi si trattasse di soldati in trincea) impediva di fatto, di coltivare le personali doti di intelligenza e creatività degli allievi; di stimolare la loro volontà di conoscere; di discutere in gruppo sul miglioramento delle stesse esperienze scolastiche; di iniziare i giovani ad una partecipazione concreta alla vita della società e del mondo contemporaneo. Altra espressione di questo malessere complessivo era ad es. la dispersione scolastica e il fatto che più del 50% degli studenti delle scuole tecniche arrivasse al diploma con uno o due anni di ritardo. La Scuola quindi dimostrava di rinunciare, o di non essere capace di far prendere coscienza dei diritti di cittadinanza; era la conservazione delle differenze di classe e della difesa di un apparato economico- lavorativo nazionale esistente; era l’applicazione dell’individualismo nello studio, come nella vita.
Verso una scelta formativa integrale dei giovani studenti. Già dal 1965, dopo che in Azione Cattolica era iniziata la collaborazione tra il Movimento Studenti della GIAC con il corrispondente movimento della Gioventù Femminile, era stata decisa chiaramente la scelta formativo-religiosa da seguire per la nostra associazione. In questo eravamo sostenuti e accompagnati dai dirigenti A.C.I di allora, soprattutto Vittorio Bachelet e Antonio Amore e dall’Assistente centrale Mons Filippo Franceschi.
Ma come muoverci di fronte all’esplosione della contestazione studentesca del 1968 che si stava estendendo anche alle Scuole secondarie? In questa confusa e vorticosa evoluzione l’Az.Cattolica doveva o no prendere posizione, a favore o contro il Movimento Studentesco? Senza dubbio la crisi dell’Università e della Scuola era di fatto un riflesso di una crisi più profonda che pervadeva l’intera società, e per la correzione della quale non poteva mancare la partecipazione dei nostri iscritti, ma certo insieme all’impegno politico-democratico dell’intero Paese… Così, da un lato non potevamo disconoscere che il Movimento studentesco (universitario e delle Superiori ) avesse il pregio di aver smosso le acque; erano da condividere con simpatia i principi di solidarietà sociale e la denuncia dell’insensibilità e dell’egoismo dei potenti di allora nei confronti della missione educativa dell’istituzione scuola. Ma critico era il giudizio sui percorsi da fare; non si poteva accettare ‘sic et simpliciter’ la stretta ideologia con cui era stata svolta l’analisi e che indicava conclusioni aggressive e violente quali “bisogna distruggere per poter ricostruire meglio in senso socialista” (Distruzione del Sistema capitalista e Socializzazione dei mezzi di produzione di massa). E poi, era opportuno o no, prendere una posizione unitaria per le centinaia di Gruppi M.S.A.C. presenti nelle realtà locali delle oltre 300 diocesi italiane?
Passarono alcuni trimestri e nel corso del 1969 la contestazione studentesca -pur ritenendo di rappresentare una reale alternativa avanzata- non riuscì a diffondersi e a coinvolgere fabbriche e sindacati, come aveva annunciato di poter fare. I leader studenteschi furono amaramente delusi nel constatare che nel cuore delle lotte operaie di allora si preferivano più realistiche ‘mete social-democratiche’ piuttosto che le “ipotesi di lavoro rivoluzionario e utopico” alla Marcuse! Il Movimento si accorse di quanto fosse più complesso, più lungo, più difficile del previsto ribaltare la società e le coscienze, forti solo di un’analisi teorica anticapitalista. Ma non solo, anche all’interno dello stesso mondo universitario la contestazione rimase piuttosto come un élite intellettualistica di avanguardie pre-rivoluzionarie, non riuscendo mai a coinvolgere nell’azione più del 10 % della massa di studenti. Ad es. alla Sapienza di Roma mai più di 4-5mila aderenti sui 70mila iscritti di allora.
Noi a fronte di questo intenso travaglio, nella primavera del 1968 ci interrogavamo su quale dovesse essere la nostra presenza nell’ambiente studentesco; cosa condividere della contestazione e come esprimere la nostra originalità. Di fatto, di quali novità potevamo noi essere portatori rispetto ai tanti nostri compagni e ai diversi ‘stakeholders’ del mondo della scuola?
Gli incontri con Padre Martini SJ. Al Convegno M.S.A.C di primavera del 1969 , presentammo una proposta metodologica che teneva in massimo conto la “scelta religiosa” sancita dal Nuovo Statuto dell’A.C.I. Scelta religiosa non come rinuncia all’impegno di collaborare al rafforzamento della scuola, ma anzi come modo per dare una più profonda e significativa spinta alla crescita dei nostri studenti. Fu scelto di mettere al centro del Convegno il tema formativo “La Testimonianza nella Carità” quale atteggiamento da assumere nel proprio ambiente; inoltre per far crescere questo atteggiamento interiore nei piccoli gruppi di di base a livello di Istituto e per mantenerci in osmosi diretta con l’ambiente di vita, cercammo di diffondere il metodo della “Revisione di vita” allora molto in voga ad es. nelle èquipe della JEC in Francia.
Ma fu soprattutto il contributo di Padre Martini a farci trovare l’enegia giusta per il cammino da compiere. Padre Martini, prima Docente e poi Preside dell’Istituto Biblico, futuro Cardinale di Milano, non ancora molto conosciuto alla periferia, ci presentò in una memorabile lezione il significato primariamente interiore di cosa vuol dire essere testimoni nel Nuovo Testamento..
“Testimonianza quale pienezza della vita spirituale del Cristiano, che grazie alla relazione interiore con Cristo può dare ragione della propria condotta, resa continuamente viva dallo Spirito, anche al dilà dell’insuccesso personale e degli scacchi della storia. La preoccupazione primaria sarà non tanto di definirci per scelte del tutto diverse rispetto all’ ambiente, ma quella di caratterizzarci grazie alla nostra sequela della persona di Cristo. E’ da questo rapporto che deriveranno come normale conseguenza i “frutti” e i segni di riconoscimento (Paolo, Gal. 5, 22-23; 1 Giov.”da ciò riconosceranno che siete miei discepoli “Comunione di vita con Lui vuol dire anche non sottrarsi alla passione, a condividere il suo insuccesso sulla croce, per poterci unire alla sua risurrezione… La chiarezza e profondità di questo “nostro” relatore ci avevano sorpreso e affascinato. Chiedemmo perciò a P. Martini di guidarci ancora in altre occasioni. Così da lui ci fu presentata come ‘’paradigmatica” -valida anche per il nostro problematico agire da studenti cristiani nel mondo- l’esperienza che i discepoli avevano fatto della risurrrezione ; la loro graduale comprensione di come avrebbero dovuto atteggiarsi ed agire nel mondo dopo la morte del Signore. Quello che P.Martini definiva in breve come “L’esperienza del Risorto”.
Anche i discepoli, stupiti per la morte in croce del Maestro, si domandavano cosa fare, come continuare il rapporto con Lui. Ripercorrere nell’’ascolto della Parola, gli episodi delle Pie donne che in cerca di Lui vanno con gli aromi al sepolcro; della ribellione di Pietro all’annuncio della prossima passione e morte del suo Signore; l’esperienza difficile di Paolo nella sua missione in Asia , poteva offrire una chiave di lettura anche per la nostra ricerca. La lezione di Martini ci dette luce e coraggio.
“ Ieri come oggi, la fede nella risurrezione del Cristo trasforma i momenti più forti dell’esistenza e dà significato a tutto ciò che facciamo e rischiamo per il Regno di Dio. Non sono i nostri progetti, ricerche o conquiste umane, ma è la Sua provvidenza che interviene e ci inserisce nel Piano di salvezza, rendendo il mondo trasparente dell’amore di Dio. Professare la Sua risurrezione, vuol dire fare dono della nostra vita per gli altri davanti al Padre e entrare nella stessa sorte di Gesù. Come Lui fu amato dal Padre con pienezza di vita fino a vincere la croce e ad essere risuscitato, così anche noi –pure essendo destinati alla morte- saremo amati dal Padre, con quella stessa pienezza di vita che va oltre la morte. Queste sono le ragioni della nostra speranza”.
Il senso delle iniziative del Mov.Studenti di A.C. Così il nostro Mov. Studenti sia nei Campi Scuola nazionali (Auronzo ’69, Pordoi e Acerno ’70) o diocesani, sia nelle Consulte regionali o nelle riunioni a base cittadina, richiamò l’attenzione sui condizionamenti sociali e culturali e sui “Segni dei tempi” che si manifestavano prepotentemente nel presente; per questo sostenne l’inserimento personale dei membri nel dibattito sulla condizione studentesca e la riforma della Scuola. Ma la nostra azione si concentrò nella ricerca di collegamenti interni, non ideologici, tra i nostri giovani membri nei gruppi di Istituto o raggruppamenti cittadini, per poter vivere unitariamente momenti di riflessione e di preghiera insieme con la “testimonianza” da esprimere nell’ambiente di vita. Nessuna ri-conquista “costantiniana” della Scuola secolare, ma testimonianza di valori essenziali nel servizio della carità al mondo studentesco.
Di sicuro riferimento fu la presenza dei nostri Assistenti centrali, Mons Rovea e Mons. Fortunato Spertini. Anche ai nostri gruppi, in quasi 100 diocesi italiane i Vescovi indicarono stabilmente un sacerdote Assistente. La loro presenza fu quantomai necessaria e gradita : -per la formazione dei nostri associati; -per l’ avvio della pastorale d’insieme nell’ambiente della scuola; – per la comunione da vivere con la locale comunità diocesana.
I Gruppi di M.S. erano cresciuti di numero in ogni Regione e si andava affermando di anno in anno una certa omogeneità di orientamenti, sempre in unione al Vescovo e alla Chiesa locale..
Il motto proprio dei giovani dell’A.C. “Preghiera-Azione-Sacrificio” veniva vissuto (forse senza che i membri riconoscessero l’antico riferimento associativo) secondo la cultura del particolare nostro ambiente di vita, in centinaia e centinaia di iniziative condotte in tutta Italia. Le più tipiche e frequenti sia al Nord che al Sud, riguardavano un modo equilibrato di portare avanti sia la formazione che l’azione nei gruppi. Erano ad es. : Liturgia tra credenti insieme ad apertura al dialogo in un ambiente pluralista. – Incontri di “Raggio” di Istituto ma anche Azione caritativa nelle periferie. –Recita in comune di Lodi/compieta ma anche preparazione di Campi di lavoro tipo “Emmaus” . –Giornalino studentesco a diffusione locale insieme a dibattiti e Cineforum a tema. –Approfondimento più sistematico della Bibbia accanto all’ impegno nel Gruppo missionario.
Il Movimento si prepara al suo I Congresso del 1970 A fine 1969 la maggioranza dei nostri Gruppi diocesani –almeno un centinaio- dimostrava di gradire il tipo di collegamento proposto dall’A.C. nazionale, trovandolo utile per un confronto tra gruppi omogenei, capaci di condividere una libera testimonianza ambientale, basata: -sull’ascolto della Parola, -sulla partecipazione all’Eucarestia e -sull’impegno di carità. Con loro esisteva una forte convergenza di contenuti e metodi,sul come continuare a costruire insieme il M.S. fino al puntodi immaginare di poter eleggere dalla base i prossimi Segretari nazionali, e di avvicinarci all’autonomia finanziaria del M.S..
Altri gruppi –pochi in verità- preferivano addentrarsi senza vincoli di appartenenza, nella lotta studentesca, secondo strategie, linguaggi e forme di azione più tipiche di una militanzai politica e sindacale. Infine una decina di gruppi della Lombardia , erano orientati verso quello che allora io chiamavo “rito ambrosiano di GS”. Per la verità questi gruppi seppure discretamente attivi e numerosi , apparivano (almeno a me) esageratamente tele-guidati, con capi che tendevano a pre-determinare le scelte di vita cristiana dei propri membri. Ma, come scriveva il teologo Cullmann, il carisma della Profezia, che è dato per svelare il mistero della volontà divina riferito alla singolarità degli eventi e delle persone, richiede necessariamente l’appello alla libertà e responsabilità di ognuno in comunione con la Chiesa. Ispirati dallo Spirito, in questa fase di tensione tra il “di già” della salvezza assicurata dal Cristo e il “non ancora” della “parusia” finale del Signore, bisogna richiamarsi alla conversione interiore, nella originale libertà di ogni uomo, senza sostituzioni o semplificazioni. I giovani della GS milanese, ispirati dalla personalità travolgente di Don Giussani, -per molti anni prof. di religione nei Licei di Milano- avrebbero seguito una loro traiettoria, fino a raccogliersi nell’autonomo e compatto “Movimento di Comunione e Liberazione”
Certo, tutti i raggruppamenti avevano diritto di esistere e di esprimersi sotto la propria responsabilità. Eravamo consapevoli che autenticità non volesse dire uniformità, anche se ritenevamo che alcune scelte potessero essere più ricche di altre. Consapevoli quindi di non voler rappresentare il monopolio dei gruppi studenteschi ecclesiali nell’ Italia di allora, decidemmo -in accordo con le Presidenze generali di A.C.I.- di orientarci al collegamento nazionale e regionale dei gruppi diocesani che si riconoscevano in quel caratteristico modo di essere-Chiesa, che si era andato consolidando nella GIAC-GF degli ultimi anni…
A passi veloci e sicuri preparammo articoli sulla nostra rivista ” Presenza e Dialogo” e Sussidi vari di approfondimento sulla natura, finalità e metodo del M.S. Fu lanciata l’ Inchiesta-Campagna “Scuola Persona Società” per capire, riflettere criticamente e mettere le proprie capacità a servizio delle comunità degli studenti. Organizzammo il Convegno di primavera e raddoppiammo il numero dei Campi estivi: provvidenzialmente, queste iniziative furono frequentate -in crescendo- da responsabili e membri junior di centocinquanta gruppi diocesani. E si arrivò così alla vigilia dell’importante I° Congresso del Movimento Studenti di A.C.del Dic 1970. Ma a questo punto, fu tutt’un’altra storia. Soddisfatto di avere contribuito con tanti amici all’evoluzione del Movimento, come realtà associativa cristiana di ambiente, restando uniti sia all’associazione di A.C che alla Conferenza episcopale , personalmente mi stavo lanciando verso un’altra esperienza di vita adulta. Dopo tante raffinate discussioni intellettuali e riunioni pratico-organizzative sulle metodologie per indirizzare al meglio il lavoro altrui, sentivo ora l’esigenza di raccogliermi su una prospettiva di vita che fosse più coivolgente la mia personalità di giovane medico. Così, dopo una immersione professionale intensiva in Chirurgia, Medicina tropicale e Sanità Pubblica, trascorsa a Padova, Antwerpen (Belgio) e all’Istituto Pasteur di Parigi, passai oltremare, in Burundi (Africa centrale). Là imparai la lingua locale, il Kirundi, e per dieci anni feci parte di una comunità di laici impegnati a servizio della Missione. Insieme alle comunità locali, furono realizzati e attrezzati modernamente, due nuovi Ospedali rurali per la cura e la promozione della salute di circa 200mila abitanti. Attività febbrile di giorno, ma rasserenante per me, ogni sera al tramonto, come una preghiera, quando dalle rive orientali del Lago Tanganica rallentavo i miei passi , guardando il sole scendere e veloce scomparire, tra le montagne del vicino Zaire. Spuntavano allora in cielo le stelle; all’orizzonte appariva la Croce del Sud; calava la notte. Non mi sentivo solo! anche in questa terra di sperduti safari… sentivo vicino la voce di tanti amici dei Gruppi missionari del M.S., che in vario modo dall ‘ Italia, continuavano a sostenermi.
PAOLO COSCI Padova, 10.2.2010 paolo.cosci@libero.it
CONTESTAZIONE STUDENTESCA E PROPOSTA DI VITA CRISTIANA
Una rilettura della Scuola italiana in fermento alla fine degli anni ’60, nel racconto di uno dei Responsabili M.S.A.C di allora. A cura di Paolo Cosci Delegato naz. Studenti GIAC, anni 1967-‘70
Negli anni ’60, l’Azione Cattolica era definita come “Scuola di vita cristiana per la santificazione del mondo e Realtà associativa per la collaborazione dei laici all’azione apostolica della Chiesa” . Una definizione molto impegnativa, per la maturità da raggiungere sul piano personale dopo le prospettive aperte dal Concilio Vat. II ( la Chiesa come Popolo di Dio in cammino nella storia-) che, riconoscendo la missionarietà di ogni battezzato, proponeva al laicato maturo e organizzato l’assunzione di dirette responsabilità nella trasformazione della società e della storia a partire dalla concreta realtà degli ambienti di vita; ma anche perché nella vivace ma non sempre omogenea fase di rinnovamento post-conciliare, ai membri di Azione Cattolica veniva proposta una più diretta e organica collaborazione con i Vescovi-Pastori, impegnati a risvegliare e riorientare le Comunità locali del Paese. Specifica dell’A.C era quindi una più stretta e filiale collaborazione con i Vescovi; una fedeltà divenuta tradizionale per l’A.C. che si ispirava in questo all’esempio di quegli uomini e donne che liberamente aiutavano l’apostolo Paolo nella evangelizzazione. Il Documento conciliare “Apostolicam actuositatem” , al comma 20 riconosceva la peculiarità di questo impegno.
Ma come fare per attualizzare nell’Italia del 1968 questa prospettiva di formazione alla vita cristiana e di collaborazione ecclesiale in in una società in forte evoluzione e in un mondo giovanile in fermento e che comprendeva più di 2 milioni di giovani studenti –ancora adolescenti- frequentanti i circa 2mila Licei e Scuole Medie Superiori?
Il retroterra dei ‘Moti studenteschi’ del 1968 Gli anni ’60 avevano visto in tutta Europa una forte “accelerazione della storia”ma anche un irrigidimento tra blocchi di potere nel mondo, a vari livelli. Una medaglia a due facce , con molti fatti contrastanti: ricordiamo ad es la recente indipendenza e decolonizzazione di molti Paesi del 3° mondo, ma anche il permanere dello sfruttamento degli Stati del Sud e il tentativo di reprimere ogni tentativo dei Movimenti di liberazione o le insurrezioni popolari alla Che Guevara; ricordiamo il fenomeno dell’ascesa negli USA dei fratelli Kennedy e dell’accendersi di speranze mondiali, ma anche il loro tragico epilogo; oppure la rivoluzione culturale delle guardie rosse di Mao e l’escalation della guerra in Viet Nam; le affascinanti esplorazioni dello spazio e le sonde nel sistema solare, ma anche la dura contrapposizione della Guerra fredda e l’equilibrio del terrore basato sulle atomiche. E così via. Fin quando nel 1967-’68 nelle maggiori Università americane ed europee, gli studenti fecero da detonatore a una situazione di tensione generalizzata, e con sorpresa riuscirono a riportare l’attenzione sulle cause generatrici di tante ingiustizie, interne ed esterne, di sfruttamento e disequità delle società contemporanee. Fu inevitabile che questa più spiccata sensibilità sociale, passasse in fretta anche alle più giovani generazioni degli studenti delle Scuole secondarie superiori. Così per la prima volta, a Est come a Ovest dell’Europa, in forme rapidamente espansive, il mondo studentesco si presentava non solo come coscienza critica delle principali contraddizioni della società contemporanea, ma anche come forza sociale di contestazione, talora di violento scontro verso” il Sistema” nella sua globalità.
Alcuni esempi internazionali di agitazione e rinnovamento succedutisi nell’arco di pochi trimestri.
In Spagna il Movimento studentesco cercò di sfidare il Franchismo, per la prima volta dopo 40 anni di regime. In Belgio la contestazione si orientò alla iniziazione politica dei giovani, con richieste di politiche di maggiore equità. In Francia, a partire dalla Sorbona e dal Quartiere latino si scatenò una spirale di azione violenta contro lo Stato gollista, ritenuto accentratore e autoritario, contribuendo così alla sua caduta definitiva. In Germania occidentale gli studenti provocarono un brutto risveglio alla classe al potere e alla società opulenta da ormai molti anni, suscitando una radicalizzazione della lotta, fino alla formazione di estreme bande rivoluzionarie. A Praga gli studenti lottarono contro il dogmatismo e l’oppressione della vecchia generazione comunista legata ai sovietici, che negava nelle fabbriche e nella società qualsiasi innovazione di tipo partecipativo… .
Anche nelle Università italiane, da Pisa a Trento, da Roma a Padova, da Torino a Bologna, ecc. fu tutto un fiorire di “collettivi”, di occupazioni, di assemblee di striscioni scritti a mano, di proclami al megafono, di cortei e manifestazioni di piazza e di scontri per rivendicare l’autonomia e l’alternativa al Sistema..
Il clima sociale-culturale-politico dell’Italia. In Italia a 25 anni ormai dalla fine della 2° Guerra mondiale, si stava esaurendo la fase propulsiva ed organica dello sviluppo e del boom economico. Al culmine di due decenni di intensa ricostruzione delle infrastrutture del Paese e al culmine di una lunga fase di industrializzazione pesante, le principali città si erano raddoppiate; riempite di masse di emigrati dal Sud al Nord, dalla campagna alla grande città. Il PIL era cresciuto e l’auto si era diffusa come bene di massa. Ma i nuovi cittadini restavano accasati alla meglio in borgate popolari anonime, isolate, non urbanizzate, seppure di recente formazione. Quartieri- dormitorio, gravemente privi di servizi. Anonimia e individualismo degli abitanti, non coperti da forme di solidarietà di vicinato, magari fossero stati serviti da oratori e strutture parrocchiali come una volta! L’uomo comune si sentiva abbandonato a se stesso e la sua famiglia sempre più spesso messa in difficoltà da diritti negati, da un mercato del lavoro in forte rallentamento. Nuovi e vecchi insediamenti accoglevano lavoratori, alienati nel processo produttivo di massa, destinati unicamente ad aprirsi a consumi di massa e …a godersi trasmissioni nazional-popolari e altri spettacoli di evasione, quasi fatti apposta per stordire e far dimenticare la realtà.
La permanente crisi della Scuola italiana degli anni ‘60. L’estensione dell’obbligo scolastico dapprima alla 3° Media unificata,e poi fino ai 16 anni con il biennio delle superiori, aveva certo riempito gli Istituti fino all’inverosimile. Ma la scuola -giudicata dal punto di vista degli studenti- non significava ancora garanzia di maturazione personale alla vita adulta, inserimento nella vita civile e speranza certa di un posto di lavoro, una volta ottenuto il diploma. La scuola mal programmata diveniva parcheggio delle giovani generazioni…Ad es. nel ’68 dagli Istituti Magistrali uscivano 30mila diplomati/anno a fronte di soli 3500 posti di insegnamento mediamente disponibili ogni anno.Oppure a Roma su 170 diplomati/anno di Periti in fisica nucleare, solo 5 potevano essere assorbiti dal mercato del lavoro.Ancora nel 1968 in Italia il 92% dei laureati proveniva dai ceti privilegiati della società, mentre i figli di lavoratori-dipendenti costituivano solo l’8% del totale dei laureati.
Dubbia quindi l’ugaglianza nelle opportunità di partenza e molto incerto l’accesso al lavoro, di fatto non considerato come un prioritario diritto di cittadinanza, iscritto nelle Costituzione. La scuola degli anni ’60 rimaneva classista (Vedi ‘Lettera a una professoressa’ di Don L.Milani); sostanzialmente risultava ancora frutto delle storiche Riforme Casati e Gentile, che a monte frenavano la mobilità sociale, stabilendo una netta e precoce separazione tra scuole come i Licei, voluti per la formazione delle élite dirigenti del domani e d’altro lato la manodopera tecnica, da formarsi nelle Scuole ad indirizzo professionale. Ma anche a valle, all’interno dell’Istituzione scuola, metodi pedagogici e contenuti formativi …facevano acqua!.
Le scuole nei loro programmi restavano conservatrici, piene di inutili autoritarismi, nozionistiche, organizzate solo per lezioni frontali, scarse di laboratori di ogni tipo, acritiche dello sviluppo sociale. Troppo spesso non si preoccupavano di valorizzare le attitudini degli allievi. La preminenza data alla applicazione dei Programmi ministeriali (quasi si trattasse di soldati in trincea) impediva di fatto, di coltivare le personali doti di intelligenza e creatività degli allievi; di stimolare la loro volontà di conoscere; di discutere in gruppo sul miglioramento delle stesse esperienze scolastiche; di iniziare i giovani ad una partecipazione concreta alla vita della società e del mondo contemporaneo. Altra espressione di questo malessere complessivo era ad es. la dispersione scolastica e il fatto che più del 50% degli studenti delle scuole tecniche arrivasse al diploma con uno o due anni di ritardo. La Scuola quindi dimostrava di rinunciare, o di non essere capace di far prendere coscienza dei diritti di cittadinanza; era la conservazione delle differenze di classe e della difesa di un apparato economico- lavorativo nazionale esistente; era l’applicazione dell’individualismo nello studio, come nella vita.
Verso una scelta formativa integrale dei giovani studenti. Già dal 1965, dopo che in Azione Cattolica era iniziata la collaborazione tra il Movimento Studenti della GIAC con il corrispondente movimento della Gioventù Femminile, era stata decisa chiaramente la scelta formativo-religiosa da seguire per la nostra associazione. In questo eravamo sostenuti e accompagnati dai dirigenti A.C.I di allora, soprattutto Vittorio Bachelet e Antonio Amore e dall’Assistente centrale Mons Filippo Franceschi.
Ma come muoverci di fronte all’esplosione della contestazione studentesca del 1968 che si stava estendendo anche alle Scuole secondarie? In questa confusa e vorticosa evoluzione l’Az.Cattolica doveva o no prendere posizione, a favore o contro il Movimento Studentesco? Senza dubbio la crisi dell’Università e della Scuola era di fatto un riflesso di una crisi più profonda che pervadeva l’intera società, e per la correzione della quale non poteva mancare la partecipazione dei nostri iscritti, ma certo insieme all’impegno politico-democratico dell’intero Paese… Così, da un lato non potevamo disconoscere che il Movimento studentesco (universitario e delle Superiori ) avesse il pregio di aver smosso le acque; erano da condividere con simpatia i principi di solidarietà sociale e la denuncia dell’insensibilità e dell’egoismo dei potenti di allora nei confronti della missione educativa dell’istituzione scuola. Ma critico era il giudizio sui percorsi da fare; non si poteva accettare ‘sic et simpliciter’ la stretta ideologia con cui era stata svolta l’analisi e che indicava conclusioni aggressive e violente quali “bisogna distruggere per poter ricostruire meglio in senso socialista” (Distruzione del Sistema capitalista e Socializzazione dei mezzi di produzione di massa). E poi, era opportuno o no, prendere una posizione unitaria per le centinaia di Gruppi M.S.A.C. presenti nelle realtà locali delle oltre 300 diocesi italiane?
Passarono alcuni trimestri e nel corso del 1969 la contestazione studentesca -pur ritenendo di rappresentare una reale alternativa avanzata- non riuscì a diffondersi e a coinvolgere fabbriche e sindacati, come aveva annunciato di poter fare. I leader studenteschi furono amaramente delusi nel constatare che nel cuore delle lotte operaie di allora si preferivano più realistiche ‘mete social-democratiche’ piuttosto che le “ipotesi di lavoro rivoluzionario e utopico” alla Marcuse! Il Movimento si accorse di quanto fosse più complesso, più lungo, più difficile del previsto ribaltare la società e le coscienze, forti solo di un’analisi teorica anticapitalista. Ma non solo, anche all’interno dello stesso mondo universitario la contestazione rimase piuttosto come un élite intellettualistica di avanguardie pre-rivoluzionarie, non riuscendo mai a coinvolgere nell’azione più del 10 % della massa di studenti. Ad es. alla Sapienza di Roma mai più di 4-5mila aderenti sui 70mila iscritti di allora.
Noi a fronte di questo intenso travaglio, nella primavera del 1968 ci interrogavamo su quale dovesse essere la nostra presenza nell’ambiente studentesco; cosa condividere della contestazione e come esprimere la nostra originalità. Di fatto, di quali novità potevamo noi essere portatori rispetto ai tanti nostri compagni e ai diversi ‘stakeholders’ del mondo della scuola?
Gli incontri con Padre Martini SJ. Al Convegno M.S.A.C di primavera del 1969 , presentammo una proposta metodologica che teneva in massimo conto la “scelta religiosa” sancita dal Nuovo Statuto dell’A.C.I. Scelta religiosa non come rinuncia all’impegno di collaborare al rafforzamento della scuola, ma anzi come modo per dare una più profonda e significativa spinta alla crescita dei nostri studenti. Fu scelto di mettere al centro del Convegno il tema formativo “La Testimonianza nella Carità” quale atteggiamento da assumere nel proprio ambiente; inoltre per far crescere questo atteggiamento interiore nei piccoli gruppi di di base a livello di Istituto e per mantenerci in osmosi diretta con l’ambiente di vita, cercammo di diffondere il metodo della “Revisione di vita” allora molto in voga ad es. nelle èquipe della JEC in Francia.
Ma fu soprattutto il contributo di Padre Martini a farci trovare l’enegia giusta per il cammino da compiere. Padre Martini, prima Docente e poi Preside dell’Istituto Biblico, futuro Cardinale di Milano, non ancora molto conosciuto alla periferia, ci presentò in una memorabile lezione il significato primariamente interiore di cosa vuol dire essere testimoni nel Nuovo Testamento..
“Testimonianza quale pienezza della vita spirituale del Cristiano, che grazie alla relazione interiore con Cristo può dare ragione della propria condotta, resa continuamente viva dallo Spirito, anche al dilà dell’insuccesso personale e degli scacchi della storia. La preoccupazione primaria sarà non tanto di definirci per scelte del tutto diverse rispetto all’ ambiente, ma quella di caratterizzarci grazie alla nostra sequela della persona di Cristo. E’ da questo rapporto che deriveranno come normale conseguenza i “frutti” e i segni di riconoscimento (Paolo, Gal. 5, 22-23; 1 Giov.”da ciò riconosceranno che siete miei discepoli “Comunione di vita con Lui vuol dire anche non sottrarsi alla passione, a condividere il suo insuccesso sulla croce, per poterci unire alla sua risurrezione… La chiarezza e profondità di questo “nostro” relatore ci avevano sorpreso e affascinato. Chiedemmo perciò a P. Martini di guidarci ancora in altre occasioni. Così da lui ci fu presentata come ‘’paradigmatica” -valida anche per il nostro problematico agire da studenti cristiani nel mondo- l’esperienza che i discepoli avevano fatto della risurrrezione ; la loro graduale comprensione di come avrebbero dovuto atteggiarsi ed agire nel mondo dopo la morte del Signore. Quello che P.Martini definiva in breve come “L’esperienza del Risorto”.
Anche i discepoli, stupiti per la morte in croce del Maestro, si domandavano cosa fare, come continuare il rapporto con Lui. Ripercorrere nell’’ascolto della Parola, gli episodi delle Pie donne che in cerca di Lui vanno con gli aromi al sepolcro; della ribellione di Pietro all’annuncio della prossima passione e morte del suo Signore; l’esperienza difficile di Paolo nella sua missione in Asia , poteva offrire una chiave di lettura anche per la nostra ricerca. La lezione di Martini ci dette luce e coraggio.
“ Ieri come oggi, la fede nella risurrezione del Cristo trasforma i momenti più forti dell’esistenza e dà significato a tutto ciò che facciamo e rischiamo per il Regno di Dio. Non sono i nostri progetti, ricerche o conquiste umane, ma è la Sua provvidenza che interviene e ci inserisce nel Piano di salvezza, rendendo il mondo trasparente dell’amore di Dio. Professare la Sua risurrezione, vuol dire fare dono della nostra vita per gli altri davanti al Padre e entrare nella stessa sorte di Gesù. Come Lui fu amato dal Padre con pienezza di vita fino a vincere la croce e ad essere risuscitato, così anche noi –pure essendo destinati alla morte- saremo amati dal Padre, con quella stessa pienezza di vita che va oltre la morte. Queste sono le ragioni della nostra speranza”.
Il senso delle iniziative del Mov.Studenti di A.C. Così il nostro Mov. Studenti sia nei Campi Scuola nazionali (Auronzo ’69, Pordoi e Acerno ’70) o diocesani, sia nelle Consulte regionali o nelle riunioni a base cittadina, richiamò l’attenzione sui condizionamenti sociali e culturali e sui “Segni dei tempi” che si manifestavano prepotentemente nel presente; per questo sostenne l’inserimento personale dei membri nel dibattito sulla condizione studentesca e la riforma della Scuola. Ma la nostra azione si concentrò nella ricerca di collegamenti interni, non ideologici, tra i nostri giovani membri nei gruppi di Istituto o raggruppamenti cittadini, per poter vivere unitariamente momenti di riflessione e di preghiera insieme con la “testimonianza” da esprimere nell’ambiente di vita. Nessuna ri-conquista “costantiniana” della Scuola secolare, ma testimonianza di valori essenziali nel servizio della carità al mondo studentesco.
Di sicuro riferimento fu la presenza dei nostri Assistenti centrali, Mons Rovea e Mons. Fortunato Spertini. Anche ai nostri gruppi, in quasi 100 diocesi italiane i Vescovi indicarono stabilmente un sacerdote Assistente. La loro presenza fu quantomai necessaria e gradita : -per la formazione dei nostri associati; -per l’ avvio della pastorale d’insieme nell’ambiente della scuola; – per la comunione da vivere con la locale comunità diocesana.
I Gruppi di M.S. erano cresciuti di numero in ogni Regione e si andava affermando di anno in anno una certa omogeneità di orientamenti, sempre in unione al Vescovo e alla Chiesa locale..
Il motto proprio dei giovani dell’A.C. “Preghiera-Azione-Sacrificio” veniva vissuto (forse senza che i membri riconoscessero l’antico riferimento associativo) secondo la cultura del particolare nostro ambiente di vita, in centinaia e centinaia di iniziative condotte in tutta Italia. Le più tipiche e frequenti sia al Nord che al Sud, riguardavano un modo equilibrato di portare avanti sia la formazione che l’azione nei gruppi. Erano ad es. : Liturgia tra credenti insieme ad apertura al dialogo in un ambiente pluralista. – Incontri di “Raggio” di Istituto ma anche Azione caritativa nelle periferie. –Recita in comune di Lodi/compieta ma anche preparazione di Campi di lavoro tipo “Emmaus” . –Giornalino studentesco a diffusione locale insieme a dibattiti e Cineforum a tema. –Approfondimento più sistematico della Bibbia accanto all’ impegno nel Gruppo missionario.
Il Movimento si prepara al suo I Congresso del 1970 A fine 1969 la maggioranza dei nostri Gruppi diocesani –almeno un centinaio- dimostrava di gradire il tipo di collegamento proposto dall’A.C. nazionale, trovandolo utile per un confronto tra gruppi omogenei, capaci di condividere una libera testimonianza ambientale, basata: -sull’ascolto della Parola, -sulla partecipazione all’Eucarestia e -sull’impegno di carità. Con loro esisteva una forte convergenza di contenuti e metodi,sul come continuare a costruire insieme il M.S. fino al puntodi immaginare di poter eleggere dalla base i prossimi Segretari nazionali, e di avvicinarci all’autonomia finanziaria del M.S..
Altri gruppi –pochi in verità- preferivano addentrarsi senza vincoli di appartenenza, nella lotta studentesca, secondo strategie, linguaggi e forme di azione più tipiche di una militanzai politica e sindacale. Infine una decina di gruppi della Lombardia , erano orientati verso quello che allora io chiamavo “rito ambrosiano di GS”. Per la verità questi gruppi seppure discretamente attivi e numerosi , apparivano (almeno a me) esageratamente tele-guidati, con capi che tendevano a pre-determinare le scelte di vita cristiana dei propri membri. Ma, come scriveva il teologo Cullmann, il carisma della Profezia, che è dato per svelare il mistero della volontà divina riferito alla singolarità degli eventi e delle persone, richiede necessariamente l’appello alla libertà e responsabilità di ognuno in comunione con la Chiesa. Ispirati dallo Spirito, in questa fase di tensione tra il “di già” della salvezza assicurata dal Cristo e il “non ancora” della “parusia” finale del Signore, bisogna richiamarsi alla conversione interiore, nella originale libertà di ogni uomo, senza sostituzioni o semplificazioni. I giovani della GS milanese, ispirati dalla personalità travolgente di Don Giussani, -per molti anni prof. di religione nei Licei di Milano- avrebbero seguito una loro traiettoria, fino a raccogliersi nell’autonomo e compatto “Movimento di Comunione e Liberazione”
Certo, tutti i raggruppamenti avevano diritto di esistere e di esprimersi sotto la propria responsabilità. Eravamo consapevoli che autenticità non volesse dire uniformità, anche se ritenevamo che alcune scelte potessero essere più ricche di altre. Consapevoli quindi di non voler rappresentare il monopolio dei gruppi studenteschi ecclesiali nell’ Italia di allora, decidemmo -in accordo con le Presidenze generali di A.C.I.- di orientarci al collegamento nazionale e regionale dei gruppi diocesani che si riconoscevano in quel caratteristico modo di essere-Chiesa, che si era andato consolidando nella GIAC-GF degli ultimi anni…
A passi veloci e sicuri preparammo articoli sulla nostra rivista ” Presenza e Dialogo” e Sussidi vari di approfondimento sulla natura, finalità e metodo del M.S. Fu lanciata l’ Inchiesta-Campagna “Scuola Persona Società” per capire, riflettere criticamente e mettere le proprie capacità a servizio delle comunità degli studenti. Organizzammo il Convegno di primavera e raddoppiammo il numero dei Campi estivi: provvidenzialmente, queste iniziative furono frequentate -in crescendo- da responsabili e membri junior di centocinquanta gruppi diocesani. E si arrivò così alla vigilia dell’importante I° Congresso del Movimento Studenti di A.C.del Dic 1970. Ma a questo punto, fu tutt’un’altra storia. Soddisfatto di avere contribuito con tanti amici all’evoluzione del Movimento, come realtà associativa cristiana di ambiente, restando uniti sia all’associazione di A.C che alla Conferenza episcopale , personalmente mi stavo lanciando verso un’altra esperienza di vita adulta. Dopo tante raffinate discussioni intellettuali e riunioni pratico-organizzative sulle metodologie per indirizzare al meglio il lavoro altrui, sentivo ora l’esigenza di raccogliermi su una prospettiva di vita che fosse più coivolgente la mia personalità di giovane medico. Così, dopo una immersione professionale intensiva in Chirurgia, Medicina tropicale e Sanità Pubblica, trascorsa a Padova, Antwerpen (Belgio) e all’Istituto Pasteur di Parigi, passai oltremare, in Burundi (Africa centrale). Là imparai la lingua locale, il Kirundi, e per dieci anni feci parte di una comunità di laici impegnati a servizio della Missione. Insieme alle comunità locali, furono realizzati e attrezzati modernamente, due nuovi Ospedali rurali per la cura e la promozione della salute di circa 200mila abitanti. Attività febbrile di giorno, ma rasserenante per me, ogni sera al tramonto, come una preghiera, quando dalle rive orientali del Lago Tanganica rallentavo i miei passi , guardando il sole scendere e veloce scomparire, tra le montagne del vicino Zaire. Spuntavano allora in cielo le stelle; all’orizzonte appariva la Croce del Sud; calava la notte. Non mi sentivo solo! anche in questa terra di sperduti safari… sentivo vicino la voce di tanti amici dei Gruppi missionari del M.S., che in vario modo dall ‘ Italia, continuavano a sostenermi.
PAOLO COSCI Padova, 10.2.2010 paolo.cosci@libero.it