Testimonianza di don Giuseppe Valensisi – assistente nazionale msac 1977-86
Siamo passati dalla macchina da scrivere Olivetti “Lettera 32”, al computer, a You Tube e chissà.
Ecco, appartengo all’era dei tasti da pigiare con una certa energia.
Ero assistente del Movimento nella mia diocesi da 2 anni, per caso e per volontà divino –gerarchica.
Non avevo frequentato molto il Centro Nazionale. Solo il minimo necessario: qualche campo, convegno e un congresso.
Ricordo di un campo in cui si era discussa la bozza del documento finale del congresso. Non sapevo che, in quella occasione, ero un sorvegliato speciale. Fatale fu per me il fatto, così mi hanno riferito voci di corridoio romano, che per colpa dei miei interventi avevano dovuto spostare la bozza del documento dalla prospettiva sociologica sul baricentro della evangelizzazione e della pastorale.
Sono giunto al Centro Nazionale dopo un colloquio – meditazione “ad pesonam” del mio Vescovo. Mi parlò della Chiesa e di amare questa Chiesa. Ero d’accordo. E, visto che ero d’accordo, per amore alla Chiesa sarebbe stato opportuno il mio servizio al Movimento Studenti. Così chiedeva Roma!
Era il 1974. Si respirava allora un’aria effervescente. Il Concilio, l’onda lunga del cosiddetto ’68, il nuovo statuto dell’A.C., l’Assemblea dell’A. C. che per la prima volta indicava la terna dei suoi presidenti, non più di nomina del Santo Padre, ma della CEI, l’anno del referendum sul divorzio, da cui l’A.C. ne era uscita un po’ ammaccata, (e un po’ di più il MSAC), il convegno del 1974 su “I mali di Roma”, presieduto dal vicario del papa per Roma, il cardinale Ugo Poletti, il prossimo Anno Santo del 1975 erano tutti motivi che spingevano l’Azione Cattolica centrale verso il largo, magari in modo empirico, disorganico, con tensioni. Ma c’era speranza, entusiasmo e anche un po’ di illusione che davano voglia di provare, di proporre, di tentare, di fare.
In questo contesto non si poteva non restare contagiati. E se il MSAC era una piccola realtà, una fievole voce, non poteva non sentirsi nell’ingranaggio.
Si sapeva che il nostro stile doveva essere quello dell’azione silenziosa. Eravamo niente, per di più da due anni anche senza un’assistente. Dovevamo essere spettatori muti di tutte le attività e ci era concesso, nell’intervallo, un quadretto controllato di pubblicità.
Ben presto, però, maturava la convinzione che un “movimento“ non era un cagnolino da guinzaglio, una ruota di scorta. Ci siamo lasciati prendere dall’idea “assurda” che il Movimento doveva identificarsi come la punta avanzata del Settore Giovani, una realtà di frontiera capace di rischiare e di sbagliare più degli altri, e che l’impedirci di esserlo diventava un boomerang anche per tutto il settore.
Strategicamente, e anche con un po’ di azzardo, prese forma il piano d’attacco: diventare “amici” di chi aveva un ruolo, specialmente se non molto visibile, al Centro Nazionale, diventare cani sciolti aperti a tutti, curiosi di capire, di studiare, di intessere relazioni, di andare a vedere le realtà diocesane dove c’era e dove non c’era il MSAC.
In pratica chi del MSAC si allontanava oltre i 250 Km da Roma doveva incontrare non solo il gruppo di Movimento o la diocesi in cui era stato invitato, ma programmare la visita agli altri gruppi di diocesi vicine, per alcuni giorni, meglio una settimana. L’ufficio rapporti era dalla nostra parte!
Si andava nelle diocesi che nessuno era ansioso si visitare, si creavano legami informali, si scrivevano lettere, si chiedevano pareri, consigli, suggerimenti, proposte, indicazioni, si intessevano rapporti personali. Siamo arrivati al punto di scrivere ad ogni Vescovo le cose belle che si erano rilevate. Questo creava una certa simpatia per un movimento costituito da giovanissimi universitari “bravini” (perché, allora, quelli del MSAC se affermavano cose sensate, erano “ragazzi bravi”, se dicevano qualcosa fuori dalle righe, erano “responsabili nazionali”) che parlavano di fede, di Cristo, della Chiesa, della collaborazione con la Gerarchia, della preghiera, là dove correva lo slogan “Cristo sì, Chiesa no”
Man mano che si conosceva la base, cresceva in tutti noi la sicurezza che l’Azione Cattolica era ed è una miniera da esplorare, che la sua storia era ricca di laici e preti santi, di uomini coraggiosi, di gente che aveva imparato dall’impegno ad essere leader nel mondo della cultura, della scienza, della politica, del lavoro, delle relazioni umane.
Questo legame con la base ci dava un’altra possibilità: aggregare all’armata Brancaleone gente nuova, fresca, senza paure e con la disponibilità a giocare quest’avventura.
Un fatto per me molto importante fu che lo stesso Papa Paolo VI aveva indicato, nell’udienza in occasione del nuovo statuto, di aggiungere alle tre strutture portanti della spiritualità dell’A.C.: “Preghiera, Azione, Sacrificio” (PAS) anche lo “Studio”.
Ho ritenuto doveroso, allora, appropriarmi della raccomandazione–impegno del mio Vescovo di frequentare l’Università Gregoriana come servizio alla Chiesa e immediatamente all’A.C. e questa scelta volevo che servisse anche ai responsabili del Movimento come testimonianza che il nostro primo dovere era lo studio, gli esami universitari e che tutto questo era possibile e diventava un esempio anche per gli studenti che venivano a conoscere anche questi aspetti della vita di un loro responsabile.
La riscoperta della Parola di Dio attraverso lo studio, da un lato, e l’esperienza del contatto con le Chiese locali dall’altro, dava non solo a me, ma a tutti l’entusiasmo, direi, la passione per una Chiesa viva che poi, dalle finestre di Via Conciliazione, si coglieva come marea che camminava verso il suo punto di riferimento.
Nascevano, per forza di cose, attenzione ai temi ricorrenti del mondo studentesco, della Chiesa, della “infinita” riforma della scuola, dell’educazione, della partecipazione, della cultura, della pastorale d’ambiente e poi si elaboravano iniziative concrete che andavano dalla preparazione di un campo, alla catechesi nel mondo studentesco, al capire, in pratica, la nostra collocazione di Movimento all’interno di una Associazione.
La necessità di diventare immediati faceva nascere, o meglio rinascere “Presenza e dialogo” che per una 15 d’anni, penso, aveva smesso la pubblicazione, e poi ancora “Wolking”, (prezzo, se ricordo bene, £ 100 = € 0,05) un pieghevole di 8 facciate, che doveva durare altrettante settimane. Ogni facciata riportava i passi biblici a tema da meditare ogni giorno.
Al centro nazionale quelli del Movimento cominciavano ad infoltirsi, a farsi conoscere. Cresceva l’interesse per le persone e per la proposta. Il settore giovanile attingeva non raramente dal Movimento i dirigenti o vicepresidenti diocesani. Al centro Umberto Folena diventava Vicepresidente, poi Pasquale Straziota ex segretario MSAC di Bari… e poi, udite, udite, in questi tempi: Franco Miano e sua moglie Pina De Simone che ricordo nel Gruppo di Nola e per finire Sua Eccellenza Mons. Domenico Sigalini, ex assistente del Movimento di Brescia.
Beh. Forse non è vero che la montagna partoriva un topolino. Lo dice anche il fatto che voi ci siete e con un allettante dinamismo.
Auguri e complimenti.
Don Giuseppe Valensisi
Che emozione! Mi dispiace di scoprire solo oggi questa pagina: chissà dov’è sepolta una foto di un convegno giovanissimi dove don Giuseppe mi tiene sotto braccio!