Dalla GIAC di Carlo Carretto alle Comunità di Base

Testimonianza di Marcello Vigli, ufficio juniores giac nazionale 1946-1950

Non sono riuscito a scrivere prima dell’incontro di Rimini e mi spiace. Non voglio però mancare all’impegno di contribuire a fare memoria per giovani che oggi vivono la preziosa esperienza della partecipazione ad un movimento laicale, come l’Azione cattolica, profondamente radicato nella Comunità ecclesiale senza pretendere spazi di autonomia protetti da Statuti speciali.  Io ho vissuta questa esperienza molti anni fa: prima in una Associazione della Giac inserita in una parrocchia romana, percorrendovi tutte le tappe da aspirante, junior  e senior, poi, fra gli anni 1946 e 1950, nella Presidenza diocesana a Roma, nella Consulta per la regione Toscana e nell’Ufficio Juniores della Presidenza centrale della Giac guidata da Carlo Carretto. Erano gli anni in cui si stava integrando l’articolazione per età con quella per categoria. Nello stesso Ufficio, infatti,c’era un responsabile per gli studenti, per i rurali e per gli operai. Furono anni di ricerca e di promozione di una spiritualità, che tenesse conto dell’età – fra i 15 e i 20 anni – e dei condizionamenti ambientali, calata nel vivo dell’impegno in una società attraversata da profondi contrasti. La Comunità ecclesiale era allora coinvolta a promuovere “cultura cattolica” all’insegna dell’anticomunismo a sostegno del partito della Democrazia cristiana.

Questo impegno divenne più evidente nel 1948 quando, in occasione delle elezioni del 18 aprile,  l’Azione cattolica tutta fu chiamata a costituire il nerbo dei Comitati civici inventati da Luigi Gedda, d’intesa con Pio XII, per tradurre in voti anticomunisti la capillare presenza dei cattolici sul territorio, assicurata dalla struttura parrocchiale.

In quegli anni ho maturato la convinzione che con il coinvolgimento diretto nelle dinamiche politiche e, peggio, nelle competizioni elettorali,  si tradisce il messaggio di Gesù specie se lo si piega a servizio dei potenti invece che degli ultimi.

Il conflitto fra Gedda e Carretto, costretto di fatto a lasciare la Presidenza della Giac proprio per divergenze in merito alle scelte politiche della dirigenza democristiana, e il dimissionamento, per lo stesso motivo, del suo successore Mario Rossi, dopo una breve presidenza,  mi hanno confermato in quella convinzione.

Non basta essere dalla parte del papa per essere sulla giusta via. Quella di papa Roncalli non è stata la stessa di papa Pacelli. Il Concilio, trasformando il “gregge”, che ha bisogno di pastori, in Popolo di Dio, nel quale i battezzati sono chiamati ad assumersi la responsabilità di contribuire a “fare Chiesa, anche con scelte autonome ma radicate nella Comunità ecclesiale. A rendere, cioè,  l’annuncio del Vangelo, per il quale la Chiesa è stata costituita, comprensibile agli uomini e alle donne impegnati a costruire un altro mondo possibile in questo nostro tempo in cui la storia ha assunto ritmi sempre più accelerati.

Oggi cerco di vivere questa responsabilità nel movimento delle Comunità cristiane di base, che da quarant’anni coltivano attivamente la speranza che la Chiesa, per assolvere alla sua missione, si faccia sempre più “chicco di senape e lievito” rinunciando a confondersi con i poteri forti che pretendono di governare il mondo.

Roma 3 maggio 2010


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