I fratelli Corrà. Giovani, testimoni, santi. (di Saretta Marotta)
Donaci Signore un cuore puro, fedele nel servizio, ardente nella lode. Don Tonino Bello nelle parole di quest’inno delle lodi del mattino ci leggeva la “regola” dell’AC alla rovescia, lo storico PAS di Preghiera, Azione, Sacrificio, un motto che a noi sembra inevitabilmente invecchiato, troppo “glorioso” e troppo poco moderno, ma che è stata la “regola” alla cui scuola tanti laici si son formati, si son “conformati”, conformati a Cristo cioè, e hanno dedicato la vita, una vita spesso di ordinaria santità. Tra questi, sessant’anni fa, due fratelli, Flavio e Gedeone Corrà. Due giovani “normali”, l’uno esuberante, l’altro timido, innamorati di Cristo e della Chiesa, ma anche di qualche ragazza, studenti di Azione Cattolica, frequentatori di canoniche e amici sacerdoti, ma anche di allegre scampagnate con gli amici e compagni d’infanzia e università.
Due giovani della campagna di Verona. Testimoni. Di più, martiri.
Cos’è il martirio? Strana parola oggi. Come si fa ad essere martiri a vent’anni? Probabilmente ieri anche le condizioni storiche rendevano “più eroici”: la guerra, la resistenza, il fascismo… e questi motti, quel cattolicesimo di casta purezza e dedita fortezza che si succhiava da piccoli in famiglia insieme al latte di mammà, quest’ideale di castità da gigli di cresima rendeva, certo non facile, ma comunque più semplice, più COERENTE, insomma, vivere una vita dedita agli altri, fino anche al sacrificio coraggioso, sacrificio politico addirittura. I fratelli Corrà sono morti in campo di concentramento, infatti, perché nell’ultimo anno della loro vita dall’impegno in parrocchia e alla San Vincenzo, quel dannato 8 settembre del 1943 sono passati naturalmente a sentirsi chiamati all’impegno estremo, all’impegno per i valori della democrazia, del bene comune. Sono passati alla Resistenza. Lì, nel bel mezzo della repubblica di Salò addirittura. Mettevano a rischio la vita solo per passare informazioni. Mai ucciso nessuno, neppure l’odiato tedesco. Giravano addirittura disarmati. Gedeone rifiutava le armi che gli offrivano mostrando il crocefisso che aveva in tasca: “sono già armato di questo”. E questi qui hanno fatto la Resistenza! Hanno messo in ginocchio per un anno intero un contingente tedesco!
Ok, ok. Ma come si fa? Come si fa ad essere pronti a darsi all’altro così a vent’anni? Con una vita davanti, una fidanzata che ti aspetta a casa, al sicuro, che prepara un futuro insieme…
Il convegno di Verona appena concluso ha visto la Chiesa italiana interrogarsi sui modi e le forme dell’annuncio cristiano nella società di oggi. Un annuncio che passa per l’essere prima di tutto testimoni. Testimoni coi fatti, nella vita. Testimoni di speranza, in un mondo troppe volte disilluso e disperato. È proprio così tanto diverso da quello di ieri?
I martiri non sono altro che testimoni. A Verona se ne sono scelti venti, uno (o una coppia in questo caso) in rappresentanza di ciascuna regione. Esempi luminosi, per un’invito non tanto alla memoria, quanto a riflettere sulla chiamata universale (cioè di tutti, ma proprio tutti quanti!) alla testimonianza. Di più, alla santità. Ma oggi che c’entra il PAS di Flavio e Gedeone (e Alberto Marvelli e Pina Suriano e Pier Giorgio Frassati e Rosario Livatino e…) con noi?
Un cuore puro, fedele nel servizio, ardente nella lode
Ardenti nella lode… cavolo! chi di noi sente di poter dire di “ardere” nel suo pregare? Che lezione! Preghiera. Si, ma preghiera “ardente”, gioiosa, appassionata, che sa anche rendere grazie, rendere bene. Benedire, appunto..
La preghiera dei fratelli Corrà era semplice, umile. Pregavano le lodi, i vespri, la compieta, le novene. Flavio a Flossenburg (il lager in cui incontrò la morte insieme al fratello) fu picchiato a sangue per aver nascosto più volte durante le perquisizioni la sua coroncina del rosario. Non era preghiera dei semplici! Non si rischia la vita per un santino, per un’immaginetta.
I Corrà tutte le mattine, a digiuno (perché sono i tempi prima del concilio e si digiunava dalla mezzanotte del giorno precedente), prima di prendere il treno per raggiungere la scuola o l’università, non mancavano l’appuntamento alla Santa Messa. Era l’Eucaristia il centro della loro vita. Come i martiri di Abitene che abbiamo ricordato al Congresso Eucaristico di Bari. “Non possiamo vivere senza eucaristia”. Anche Gedeone e Flavio si sarebbero accordati a questo grido. Quando erano impossibilitati per malattia o costrizione, ne soffrivano enormemente. Flavio in prigionia e durante il servizio militare scrive alla fidanzata chiedendole di accostarsi alla comunione “anche per lui”.
È questa centralità eucaristica, questa centralità della Parola il motore, il centro del servizio. Per i Corrà come per ogni cristiano. Una lode semplice, grata, che non chiede per sé ma è dialogo con Lui, che mette nelle mani sue piccolezze e difficoltà (anche quelle di un quindicenne alle prese con certe smanie ormonali!), preghiera che affida e si affida.
Servizio fedele è l’Azione. Fedeltà nell’azione significa coerenza. E non è facile. Trasformare in servizio l’azione quotidiana, azione coraggiosa, paziente, azione che testimonia, coerente, azione saggia. Azione generosa ma non ansiosa, azione che non cerca glorie, ma sempre premurosa, come quella bicicletta di Gedeone che andava e veniva dalle campagne alla città sotto il grandinare delle bombe, a soccorrere feriti e chi avesse bisogno di aiuto, come una volta scorrazzava per le campagne a distribuire pacchi di viveri e vestiario ai poveri della sanvincenzo, a partecipare ai raduni dell’Azione Cattolica.
Non erano eroi i due fratelli veronesi. Neanche di sangue illustre, sangue nobile, sangue coraggioso. Una famiglia povera di tanti, tantissimi figli, radicata nel lavoro in campagna, come nella fede e fedeltà alla Chiesa e fiducia nella Provvidenza.
Non erano eroi. Erano giovani. Animati da grandi ideali. Ma non sono diventati santi perché martiri della Resistenza. Era la loro vita, soprattutto precedente alla guerra, che era sempre stata un canto di lode ininterrotto. Testimonianza ferma, decisa. Raccontano i compagni di essersi sempre sentiti tanto rassicurati dalla loro presenza in treno, nella compagnia. Ognuno li cercava per conforto, per consiglio, come punto di riferimento saldo e.. COERENTE.
Non solo Resistenza quindi!
Cuore puro. Forse è questo il più grande Sacrificio. Mantenere un cuore puro, tra gli intorbidamenti della vita. Affidarsi, sempre. Fare che sia la Sua e non la nostra volontà a prevalere nel nostro cuore. Vivere nella Grazia, che non significa essere perfetti, ma lasciarsi perfezionare, lasciarsi anche modellare come argilla nelle mani di Dio, come scultura nelle mani dell’artista, anche se i colpi di scalpello a volte fanno tanto tanto male.
Flavio e Gedeone hanno incarnato tanto il Vangelo da arrivare a struggersi per Cristo, e quindi struggersi per l’altro, per qualsiasi sua necessità, materiale o spirituale, e quindi a mettere se stessi da parte, a mettere l’altro al centro, perché al centro c’è Gesù, l’Altro con la A maiuscola. Il segreto della felicità di una vita (anzi, di due!), spendersi –e spendersi fino al sacrificio- per Cristo e per i fratelli: il paradosso del “perdersi per ritrovarsi”, il centuplo che ricevi fin d’ora, quaggiù, nella terra degli uomini del nostro tempo
L’esempio luminoso di due fratelli, ragazzi di vita e di speranza, giovani di coerenza… che ci sollecitano alla testimonianza, ci chiamano, ci reclamano! Perché non basta non fare il male, non servono “giovani ricchi”, cristiani tiepidi. C’è bisogno di speranza, qui e adesso!E c’è bisogno di uomini disposti ad ospitare questa speranza, incarnandola, con la vita, nel quotidiano…
Per saperne di più su di loro