a cura del fratello Sergio, già Ministro della Pubblica Istruzione e anche lui msacchino
La mattina dell’Epifania del 1980 veniva assassinato Piersanti Mattarella. Era in auto, sotto la sua abitazione, con la moglie e i due figli: stava andando a Messa nella chiesa di S. Lucia. Non aveva ancora quarantacinque anni.
Da quasi due anni era Presidente della Regione in Sicilia. La sua azione politica e di governo era stata caratterizzata da un’intensa attività di riforme legislative ( sulla burocrazia regionale, sul bilancio, sulla struttura del governo, sulla programmazione economica, sull’urbanistica) e su un forte impegno per lo sviluppo della sua regione e del Mezzogiorno. Ma l’elemento che di più lo contraddistingueva era quello per la correttezza nella vita della Regione che esortava continuamente ad avere “le carte in regola”, parole che sono divenute uno slogan con cui viene ricordato: con queste parole voleva indicare una spesa regionale ordinata e trasparente e un’attività amministrativa conforme a legalità, che contrastasse la corruzione e l’influenza della mafia. Le parole più lusinghiere sulla sua azione politica sono state scritte dal giudice Giovanni Falcone nell’ordinanza con cui concludeva le indagini sul suo assassinio.
Aveva studiato, a Palermo, le elementari all’Istituto S. Anna e, dalla prima media al quarto ginnasio, presso l’Istituto San Luigi Gonzaga, quindi, a Roma, al San Leone Magno fino alla maturità e alla Sapienza per gli studi universitari.
Si era formato nella Gioventù di Azione Cattolica. Anzitutto nell’ associazione della GIAC del San Leone, in cui era molto impegnato e di cui divenne presidente, con assistente mons. Renato Spallanzani, un sacerdote che va ricordato. L’associazione aveva un ritmo intenso di attività e Piersanti ne era protagonista con grande capacità di aggregare e coinvolgere e con la convinzione che, per dare un senso alla propria vita, occorre metterla a frutto perché questo vuol dire corrispondere al piano di salvezza di Dio. Con le stesse motivazioni si era impegnato nell’ufficio nazionale del Movimento nazionale studenti della GIAC, dove ha operato, durante gli anni universitari, accanto al delegato nazionale di allora, Alvise Cherubini, popolarissimo tra gli studenti del Movimento e all’Assistente mons. Nebiolo.
In realtà è da questo patrimonio di valori che nacque il suo impegno politico e il modo in cui si è svolto: senso del bene comune, della responsabilità verso la società in cui si è inseriti, esigenza di mettere a frutto le proprie energie personali.
Posso concludere con una considerazione su Piersanti che potrei fare fare anche per altre persone che ho conosciuto e che, come lui, sono state assassinate perché si battevano, in Sicilia, per la legalità, da Giovanni Falcone a Paolo Borsellino a Rocco Chinnici: non aveva la vocazione a diventare un eroe. Come ciascuno degli altri che ho ricordato, era una persona normale che amava la vita e il futuro; amava sua moglie e i suoi figli, era aperto di carattere, allegro nei rapporti personali, anche sul lavoro. Ma, come gli altri che ho ricordato, avvertiva fortemente il senso della dignità propria e di quella del ruolo che rivestiva; si rifiutava di piegarsi alla prepotenza, alla sopraffazione della mafia o alla minaccia della violenza; non aveva intenzione di far finta di non vedere. Era consapevole del pericolo che poteva aver di fronte ma sapeva che si deve vivere in maniera decorosa, potendo essere sempre orgogliosi delle proprie scelte.
Ricordare le persone che affermavano il rispetto delle regole per il bene di tutti, il bene comune, e il cui assassinio ha punteggiato dolorosamente la storia del nostro paese, significa condividerne valori e criteri di comportamento: il messaggio che riceviamo da Piersanti Mattarella risiede nella convinzione che la vita va impiegata spendendo bene, evangelicamente, i talenti che si sono ricevuti..