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Ricordo di Piersanti Mattarella, msacchino

mercoledì, 24 febbraio 2010

a cura del fratello Sergio, già Ministro della Pubblica Istruzione e anche lui msacchino

La mattina dell’Epifania del 1980 veniva assassinato Piersanti Mattarella. Era in auto, sotto la sua abitazione, con la moglie e i due figli: stava andando a Messa nella chiesa di S. Lucia. Non aveva ancora quarantacinque anni.

Da quasi due anni era Presidente della Regione in Sicilia. La sua azione politica e di governo era stata caratterizzata da un’intensa attività di riforme legislative ( sulla burocrazia regionale, sul bilancio, sulla struttura del governo, sulla programmazione economica, sull’urbanistica) e su un forte impegno per lo sviluppo della sua regione e del Mezzogiorno. Ma l’elemento che di più lo contraddistingueva era quello per la correttezza nella vita della Regione che esortava continuamente ad avere “le carte in regola”, parole che sono divenute uno slogan con cui viene ricordato: con queste parole voleva indicare una spesa regionale ordinata e trasparente e un’attività amministrativa conforme a legalità, che contrastasse la corruzione e l’influenza della mafia. Le parole più lusinghiere sulla sua azione politica sono state scritte dal giudice Giovanni Falcone nell’ordinanza con cui concludeva le indagini sul suo assassinio.

Aveva studiato, a Palermo, le elementari all’Istituto S. Anna e, dalla prima media al quarto ginnasio, presso l’Istituto San Luigi Gonzaga, quindi, a Roma, al San Leone Magno fino alla maturità e alla Sapienza per gli studi universitari.

Si era formato nella Gioventù di Azione Cattolica. Anzitutto nell’ associazione della GIAC del San Leone, in cui era molto impegnato e di cui divenne presidente, con assistente mons. Renato Spallanzani, un sacerdote che va ricordato. L’associazione aveva un ritmo intenso di attività e Piersanti ne era protagonista con grande capacità di aggregare e coinvolgere e con la convinzione che, per dare un senso alla propria vita, occorre metterla a frutto perché questo vuol dire corrispondere al piano di salvezza di Dio. Con le stesse motivazioni si era impegnato nell’ufficio nazionale del Movimento nazionale studenti della GIAC, dove ha operato, durante gli anni universitari, accanto al delegato nazionale di allora, Alvise Cherubini, popolarissimo tra gli studenti del Movimento e all’Assistente mons. Nebiolo.

In realtà è da questo patrimonio di valori che nacque il suo impegno politico e il modo in cui si è svolto: senso del bene comune, della responsabilità verso la società in cui si è inseriti, esigenza di mettere a frutto le proprie energie personali.

Posso concludere con una considerazione su Piersanti che potrei fare fare anche per altre persone che ho conosciuto e che, come lui, sono state assassinate perché si battevano, in Sicilia, per la legalità, da Giovanni Falcone a Paolo Borsellino a Rocco Chinnici: non aveva la vocazione a diventare un eroe. Come ciascuno degli altri che ho ricordato, era una persona normale che amava la vita e il futuro; amava sua moglie e i suoi figli, era aperto di carattere, allegro nei rapporti personali, anche sul lavoro. Ma, come gli altri che ho ricordato, avvertiva fortemente il senso della dignità propria e di quella del ruolo che rivestiva; si rifiutava di piegarsi alla prepotenza, alla sopraffazione della mafia o alla minaccia della violenza; non aveva intenzione di far finta di non vedere. Era consapevole del pericolo che poteva aver di fronte ma sapeva che si deve vivere in maniera decorosa, potendo essere sempre orgogliosi delle proprie scelte.

Ricordare le persone che affermavano il rispetto delle regole per il bene di tutti, il bene comune, e il cui assassinio ha punteggiato dolorosamente la storia del nostro paese, significa condividerne valori e criteri di comportamento: il messaggio che riceviamo da Piersanti Mattarella risiede nella convinzione che la vita va impiegata spendendo bene, evangelicamente, i talenti che si sono ricevuti..

Sergio Mattarella

MSAC un passaparola gioioso!

martedì, 23 febbraio 2010

Testimonianza di Mara Bottone, segretaria diocesana e collaboratrice centrale 1995-98

Scrivo da Strasburgo dove ho realizzato il mio sogno, quello di lavorare per la difesa dei diritti umani,  un risultato che ho raggiunto  grazie anche alle tante cose imparate durante gli anni del MSAC, primo fra tutti lo stile dell’ascolto e del dialogo.

Sono in entrata in AC grazie a Silvio, un mio compagno di classe nonché msacchino ante litteram della diocesi di Napoli. Era il 1989 e nella nostra scuola il MSAC non era ancora arrivato. Sarebbe giunto qualche anno dopo con Paola e Claudia che, messaggere di buona novella, distribuivano il giornalino Passaparola, redatto dalla segreteria del MSAC diocesano.

I 12 anni in AC, trascorsi tra riunioni del Settore giovani, del MSAC diocesano e di quello nazionale  sono stati per me anni intensi e bellissimi

Ringrazio di vero cuore i msacchini e le msacchine incontrati, in particolar modo Roberto, Carlo, Gianluca, Bruno, Chiara, Giandiego, Massimo, Mayla, Elena,  i giovani Berardino, Carmen, Grazia, Gianluca F. e gli assistenti spirituali don Fulvio, don Mimmo, don Lucio che hanno sostenuto  e condiviso le  riunioni ed i campi scuola del MSAC.

Ai msacchini e alle msacchine di oggi, auguro di  vivere con gioia e coraggio il loro “dire Dio tra i banchi di scuola”.

Alla Presidenza Nazionale, auguro di sostenere fortemente il MSAC affinché, con l’AC tutta, sia capace di costruire ponti di speranza in grado di fare incontrare gli studenti del Sud e del Nord, dell’Est e dell’Ovest non solo dell’Italia ma di tutto il mondo.

Auguro, infine, a tutti noi che il MSAC del domani sia sempre più capace di essere sale della scuola e della società civile.

Dal ‘67 al ‘70, il rapporto controverso con GS

martedì, 23 febbraio 2010

Testimonianza di Paola Sommer, delegata nazionale GF per il settore studentesco dal ‘67 al ‘70

Dal 1967 al 1970 mi trasferii a Roma, al centro nazionale di quella che allora era la Gioventù Femminile di ACI. Fui “nominata” (a quei tempi era così!) vice di Maria Leonardi, veneziana, allora presidente della GF e tuttora mia cara amica (è stata anche testimone al mio matrimonio). L’incarico di vicepresidente mi permise di conoscere persone indimenticabili, come l’assistente generale mons. Costa e il presidente Bachelet, e di partecipare alla sofferta elaborazione del nuovo statuto dell’ACI (1969).

Tuttavia da subito fui prevalentemente coinvolta nel lavoro dell’ufficio studenti. Come segretaria succedevo ad Angela Maria La Porta, che per molti anni era stata delegata nazionale GF per il settore studentesco. Il movimento studenti gieffino era nato da poco, ma era stato preparato dall’impegno di tante “delegate” diocesane, regionali e nazionali, che avevano animato e coordinato le esperienze di diversi gruppi.

Io stessa, nella diocesi di Padova dove ho sempre abitato a parte il triennio romano, dal 1963 al ’66 avevo sollecitato la nascita di gruppi che ancora si chiamavano GS e si riunivano negli incontri di “raggio”. Padova aveva la fortuna di ospitare due “periti” che collaborarono intensamente alla stesura dei documenti del Vaticano II: il teologo ed ecumenista mons. Luigi Sartori, professore al seminario, e il liturgista dom Pelagio Visentin, monaco dell’abbazia benedettina di Praglia. Noi della GF li incontravamo abbastanza spesso: le loro relazioni ci facevano respirare a pieni polmoni il fresco vento conciliare. E non posso dimenticare la mattina dell’ 8 dicembre 1965, quando, riunite in centro diocesano, davanti alla TV assistemmo alla chiusura del concilio e ascoltammo Paolo VI che, tra i vari “messaggi”, lesse anche quelli rivolti alle donne e ai giovani.

Gli anni di Roma furono importanti, ricchi e insieme difficili. La protesta nelle università e nelle scuole creò anche tra noi tensioni e lacerazioni, sul piano sia personale che associativo. Emblematico della complessità del momento fu il convegno nazionale del ’68. Lo preparammo discutendo la situazione del mondo studentesco anche con il futuro cardinale Carlo Maria Martini, allora rettore del Pontificio Istituto Biblico, che poi introdusse i lavori con una meravigliosa relazione sulla testimonianza cristiana. Le altre giornate però furono alquanto movimentate e complicate: alcuni responsabili diocesani, venuti a Roma partendo direttamente dalle università che stavano occupando, ci consideravano come parte del “sistema” che era completamente da cambiare e non erano certo disposti a ragionare con noi di vita di gruppo e di pastorale d’ambiente. Chiacchierando con me, un universitario di Torino disse che non ero poi così stupida come facevano supporre i miei interventi ufficiali al microfono: questi infatti erano stati per lui un cumulo di insulsaggini e di banalità borghesi.

In quegli anni erano frequenti gli scontri e le incomprensioni specialmente con certi responsabili delle regioni settentrionali: i più preparati avrebbero voluto che il centro nazionale premesse l’acceleratore sul versante sia biblico-teologico che sociale e politico. Alcuni (erano di Trieste, di Verona, di Genova, di Bologna…) sono poi diventati cari amici e si sono lasciati coinvolgere volentieri nella preparazione e anche nella realizzazione di vari incontri. Meno difficile era il rapporto con i gruppi del Sud che, provenendo spesso da diocesi piccole (non era stata ancora razionalizzata la loro distribuzione!), trovavano nelle nostre proposte insostituibili occasioni di aggiornamento ecclesiale, culturale e civile.

Mi sembra significativo un altro episodio di quel periodo. A un incontro di studio organizzato negli ultimi mesi del ’68 partecipò inaspettatamente un rappresentante della GS milanese (forse il suo cognome era Colombo). Paolo Cosci e io sperammo fosse l’inizio di un riavvicinamento a quei gruppi che da molti anni avevano tagliato ogni legame con l’ACI. Ma qualcuno che conosceva bene il mondo giessino distrusse la nostra illusione: GS di Milano poteva aderire alle proposte del centro nazionale solo strumentalmente, per ottenere un “riconoscimento” che compensasse l’attuale emorragia di adesioni e aiutasse a ricucire i rapporti fortemente incrinati con il cardinale, anche lui Colombo di cognome.

L’anno dopo la grossa crisi di GS nacque CL. E, ancora sperando in qualche forma di collaborazione, mi recai a Rimini a un convegno del neonato movimento. Ero con Marcello Callari, siracusano, membro dell’ufficio studenti della GIAC. A Rimini assistemmo a una lezione per gli studenti. Si scriveva alla lavagna “Gesù”, poi “Chiesa” e infine “gruppo di CL”. Due frecce collegavano direttamente Gesù alla Chiesa e la Chiesa al gruppo di CL. Lo schema mostrava che solo nel gruppo ciellino si fa esperienza di Chiesa e si incontra Gesù. Ne fu sconvolto anche Marcello, che allora provava una certa simpatia per la proposta, prima giessina e poi ciellina, di un’integrale vita cristiana.

Nell’agosto ’68 e nell’agosto ’69 organizzammo due campi-scuola per responsabili diocesani, al passo Falzarego e ad Auronzo di Cadore: mi pare fossero i primi campi-scuola nazionali incentrati sulla lettura della Bibbia e i primi “misti”, cioè frequentati da ragazzi e ragazze insieme. Nell’affrontare gli impegnativi argomenti che avevamo fissato avemmo come guida don Gianluigi Prato (per noi “Gigi”), allora allievo di Carlo Maria Martini e oggi uno dei più competenti veterotestamentaristi italiani. In quelle giornate si radicò profondamente in molti di noi quell’amore per la Parola di Dio che, come “luce ai nostri passi”, ci guida nel cammino della vita.