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“Presenza” e “Dialogo”

venerdì, 12 febbraio 2010

Testimonianza di Annachiara Valle, msacchina degli anni ‘80

A volte ci ritrovavamo in tre: io, Biagio Politano e l’immancabile Vittorio Sammarco, il nostro segretario. Ci aveva insegnato che gli impegni si rispettano e che le riunioni convocate non si annullano mai. Aveva ragione. La sua tenacia fu premiata. Il movimento cominciò ad allargarsi, nacquero i gruppi di istituto, il Msac si radicò saldamente in diocesi.

Guardando indietro devo a quegli incontri molta parte di ciò che sono ora. Davanti ala scuola vendevamo Presenza e dialogo studenti, il nostro mensile nazionale. Una attività che ci consentiva di parlare con i nostri coetanei e di affrontare insieme molti degli argomenti che il giornale proponeva. Non era un volantinaggio: fermavamo le persone una per una, chiedevamo cosa pensassero della scuola, del libro che era recensito, dell’argomento di attualità di cui si parlava in quel numero di cui chiedevamo l’acquisto. Nascevano amicizie, anche con quanti non condividevano il nostro cammino.

Il movimento ci insegnava la partecipazione e  la democrazia. Concretamente, con la presentazione delle nostre liste e dei nostri candidati nei consigli di istituto, con gli “scontri” elettorali, con il dialogo difficile con chi – già allora – faceva della parola cattolico uno strumento di divisione dagli altri piuttosto che di universalità.

Studiavamo. Molto. Convinti che per essere buon “msacchini” bisognasse essere innanzitutto buoni studenti. E restavamo ancorati alla parrocchia e alla Chiesa. “Presenza” e “dialogo”, le due parole scelte per il mensile, erano anche il nostro programma.

Erano gli anni difficili dell’associazione. Il mio passaggio a Roma non fu, da questo punto di vista, indolore. A Roma trovavo la città che amavo, e mi avvicinavo al centro nazionale. Ma proprio qui trovavo anche le contraddizioni che mettevano in crisi la mia fede. Vedevo le piccolezze laddove mi aspettavo grandi ideali, le fragilità dove contavo di trovare la forza. Fu don Attilio Arcagni, allora assistente del Movimento studenti, a ricordarmi l’essenziale. Due frasi – una di Sant’Agostino che definisce la Chiesa “casta meretrix”, e un’altra di Giuseppe Lazzati “bisogna amare la Chiesa perché la ama Dio che ne conosce più a fondo i peccati” – che mi capita di ripetere ancora oggi, a me stessa e agli altri, dopo 23 anni da quei giorni. Per questo, oltre al “fratello maggiore” Vittorio, tra le tante persone che ho incontrato in quella splendida avventura che è stato il movimento, vorrei ringraziare don Attilio, sensibile e discreto, che ha saputo accompagnare la crescita di molti, con la gratuità e la generosità di chi è destinato a non sapere quasi mai che destino avranno i semi che ha gettato.

Annachiara Valle

Il Msac: 100 anni, ma milioni di volti

venerdì, 5 febbraio 2010

TESTIMONIANZA DI LUCA GIROTTI – Segretario nazionale Msac dal 1993 al 1995

… fare una testimonianza sul MSAC? Il problema è da dove iniziare, cosa scrivere?… in realtà questa difficoltà è la vera “fortuna” perché ci si accorge che lo spazio e le risorse non bastano per raccontare migliaia di volti, momenti, sensazioni che sono la tua vita, che ti hanno reso quello che sei oggi… a partire dalla tua famiglia, visto che con mia moglie Elena ci siamo conosciuti proprio all’ACS (il MSAC ambrosiano).

Incontri ed esperienze di fede, amicizia, servizio (… è bello leggere le altre testimonianze dei volti che hai incontrato…) che è impossibile racchiudere in poche righe, soprattutto quando hai percorso – in salita e discesa – tutti i gradini dal tuo piccolo gruppo della periferia milanese alle grandi stanze dei palazzi romani, e ritorno. Di questo sali-scendi porto sempre con me nella vita familiare, nell’impegno lavorativo, nel servizio ecclesiale alcune “pietre preziose” che ACS/MSAC mi hanno regalato:

- la necessità e, insieme, l’urgenza di essere testimoni del Vangelo nei luoghi quotidiani della nostra vita (… quante “buone pratiche” ho conosciuto in tutta Italia …);

- l’importanza e, insieme, la bellezza di affrontare la sfida della formazione, con il coraggio di leggere/interpretare la complessità dei problemi (… quante giornate/serate/nottate di riflessione a Milano, Roma, Palermo, Sassari… con un piccolo ricordo speciale per “La rosa dei venti”);

- il valore e, insieme, il bisogno di confrontarsi in modo serio e competente con i temi/problemi del nostro tempo e del nostro àmbito di impegno (… il pensiero corre subito al convegno nazionale – pensato e realizzato da segretario, con Giovanna e don Mimmo – all’udienza con il Presidente della Repubblica e al confronto con il prof. Corradini, ma anche ai tanti incontri in giro per l’Italia promossi dal MSAC in quel periodo così agitato).

Tante cose ci sarebbero ancora da dire, tante cose da raccontare ma soprattutto tante persone da ricordare… alla fine è questa la “cosa più bella”: aver incontrato dei volti che hanno fatto il tuo volto! Quindi 100 anni, ma MILIONI DI VOLTI!!!

“Traduttori” del Vangelo

venerdì, 5 febbraio 2010

Testimonianza di Giuseppe Savagnone – Docente, pedagogista, educatore

Oggi si dice spesso che i giovani non hanno più valori. È falso. I ragazzi e le ragazze del nostro tempo hanno valori diversi da quelli dei loro nonni e dei loro genitori, ma ne hanno! Forse più degli adulti che li criticano e che spesso proiettano su di loro il proprio vuoto e il proprio scetticismo.

È vero: a volte ciò che di valido circola nella cultura giovanile si trova mescolato a deformazioni, unilateralità, imprecisioni, che tradiscono e isteriliscono le istanze originarie e più profonde da cui questa nuova cultura prende le mosse. Avventurarsi in questo mondo è come scavare in una miniera, da dove il metallo prezioso viene tratto nel suo stato grezzo, cosicché, per essere recuperato nella sua purezza, dev’essere sottoposto a un trattamento adeguato. Nel caso dei valori del mondo dei giovani è necessario qualcosa di equivalente: un discernimento che consenta di separare l’oro dal magma terroso che lo nasconde. E il Vangelo può essere, oggi più che mai, il punto di riferimento per distinguere l’umano dal non umano, il vero dal falso, il reale dall’illusorio. Perciò la Chiesa è chiamata ad essere in prima linea nello sforzo – che di per sé dovrebbe coinvolgere  tutta la nostra società – di operare questo discernimento, per consentire ai processi culturali in corso di imboccare le vie più rispondenti alla loro autentica ispirazione, evitando di esaurirsi in vicoli ciechi.

Ma questo discernimento può farlo solo chi vive in prima persona l’esperienza delle nuove istanze e dei nuovi stili di vita che oggi si affermano. Dei giovani, per l’appunto. Dei giovani, però, che abbiano familiarità con la prospettiva cristiana e che, alla luce di essa, possano dare della propria identità giovanile un’interpretazione diversa da quella banale delle mode omologanti a cui tanti ragazzi sono soggetti. Nel far questo essi daranno, al tempo stesso, una lettura diversa, nuova, del Vangelo in cui credono, calandolo nel clima culturale di cui sono protagonisti e riproponendolo al mondo secondo i linguaggi propri di tale clima.

Ecco allora che si delinea, per i giovani dell’AC – e  particolar modo per gli studenti e le studentesse del MSAC – , un compito che va al di là degli obiettivi a breve scadenza, per quanto legittimi. Un compito che potremmo definire “storico”. Per dargli un nome, potremmo definirlo nei termini della traduzione. “Tradurre” vuol dire trasporre un testo da una lingua ad un’altra. Nel caso del Vangelo, si potrebbe dire che ogni epoca, specie quelle di grandi trasformazioni, com’è la nostra, deve saperlo tradurre dalla lingua del passato a quella del presente, preparando il terreno a quelle del futuro. Dove – si capisce – per “lingua” intendiamo non solo il lessico o la grammatica, ma le categorie mentali che stanno loro dietro.  Ebbene, anche la Chiesa del nostro tempo è chiamata a compiere il miracolo della traduzione dell’annuncio evangelico in una lingua comprensibile agli uomini e alle donne a cui si rivolge oggi, se vuole evitare di restare ancorata a degli interlocutori immaginari, che c’erano prima ma che oggi non esistono più.

Ora, per tradurre bisogna conoscere bene il testo, così com’è stato fino a quel momento formulato, ma anche la lingua in cui si vuole trasporlo. L’Azione Cattolica, depositaria – a differenza di tanti gruppi e movimenti – di una lunga tradizione, risponde benissimo al primo requisito. Quanto al secondo, sono i suoi giovani i più adeguati all’opera grandiosa a cui è così urgente mettere mano. Sono loro che possono capire “dall’interno” certe modalità nuove del pensare, del sentire, del vivere e solo così sarà possibile offrirle a Dio, perché la sua Parola, che ha bisogno delle parole umane per risuonare, se ne nutra e, al tempo stesso, le purifichi e le restituisca al loro valore, liberandole dalle scorie.

Per far questo, essi non dovranno essere meno se stessi. Al contrario, recuperando, nell’incessante confronto col Vangelo, il pieno significato delle esigenze di cui si sentono portatori, ne prenderanno sempre più coscienza e le vivranno in sempre maggiore autenticità. Qualcuno dirà che questo significa aprire la strada a una vera e propria rivoluzione. Ma il Vangelo è – e rimarrà sempre – rivoluzionario.