Testimonianza di Annachiara Valle, msacchina degli anni ‘80
A volte ci ritrovavamo in tre: io, Biagio Politano e l’immancabile Vittorio Sammarco, il nostro segretario. Ci aveva insegnato che gli impegni si rispettano e che le riunioni convocate non si annullano mai. Aveva ragione. La sua tenacia fu premiata. Il movimento cominciò ad allargarsi, nacquero i gruppi di istituto, il Msac si radicò saldamente in diocesi.
Guardando indietro devo a quegli incontri molta parte di ciò che sono ora. Davanti ala scuola vendevamo Presenza e dialogo studenti, il nostro mensile nazionale. Una attività che ci consentiva di parlare con i nostri coetanei e di affrontare insieme molti degli argomenti che il giornale proponeva. Non era un volantinaggio: fermavamo le persone una per una, chiedevamo cosa pensassero della scuola, del libro che era recensito, dell’argomento di attualità di cui si parlava in quel numero di cui chiedevamo l’acquisto. Nascevano amicizie, anche con quanti non condividevano il nostro cammino.
Il movimento ci insegnava la partecipazione e la democrazia. Concretamente, con la presentazione delle nostre liste e dei nostri candidati nei consigli di istituto, con gli “scontri” elettorali, con il dialogo difficile con chi – già allora – faceva della parola cattolico uno strumento di divisione dagli altri piuttosto che di universalità.
Studiavamo. Molto. Convinti che per essere buon “msacchini” bisognasse essere innanzitutto buoni studenti. E restavamo ancorati alla parrocchia e alla Chiesa. “Presenza” e “dialogo”, le due parole scelte per il mensile, erano anche il nostro programma.
Erano gli anni difficili dell’associazione. Il mio passaggio a Roma non fu, da questo punto di vista, indolore. A Roma trovavo la città che amavo, e mi avvicinavo al centro nazionale. Ma proprio qui trovavo anche le contraddizioni che mettevano in crisi la mia fede. Vedevo le piccolezze laddove mi aspettavo grandi ideali, le fragilità dove contavo di trovare la forza. Fu don Attilio Arcagni, allora assistente del Movimento studenti, a ricordarmi l’essenziale. Due frasi – una di Sant’Agostino che definisce la Chiesa “casta meretrix”, e un’altra di Giuseppe Lazzati “bisogna amare la Chiesa perché la ama Dio che ne conosce più a fondo i peccati” – che mi capita di ripetere ancora oggi, a me stessa e agli altri, dopo 23 anni da quei giorni. Per questo, oltre al “fratello maggiore” Vittorio, tra le tante persone che ho incontrato in quella splendida avventura che è stato il movimento, vorrei ringraziare don Attilio, sensibile e discreto, che ha saputo accompagnare la crescita di molti, con la gratuità e la generosità di chi è destinato a non sapere quasi mai che destino avranno i semi che ha gettato.
Annachiara Valle