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Il Msac, luogo di amicizia e relazioni autentiche

sabato, 23 gennaio 2010

Testimonianza di Carlo Cananzi - Segretario diocesano e Consultore nazionale Msac dal 1991 al 1998

La serena accettazione di essere minoranza richiede, anzitutto, che si traggano tutte le conseguenze, di mentalità e operative, di quella che un tempo fu chiamata la scelta religiosa, da riproporre in modo adatto alle nuove circostanze come scelta evangelica e profetica, come affermazione del primato di Dio e dell’evangelo e delle sue conseguenze per il bene della comunità umana

(Carlo Maria Martini, 1995)

Il mio impegno nel MSAC inizia negli anni 80 come segretario diocesano a Napoli. Poi dal 91 al 98 come consultore nazionale, con una breve parentesi di collaboratore nazionale negli anni 1992-1993(?)

Se dovessi descrivere con due canzoni bellissime, il periodo che vivemmo in quegli anni  (tra gli anni ’80 e ’90) potrei far riferimento a Born in the Usa di  Bruce Springsteen[1] e Ottocento di Fabrizio De Andrè[2]. In due modi diversi esprimevano il disagio di quel tempo e di una generazione, che a livello internazionale attraverso l’edonismo reganiano costruiva l’attuale visione neoliberista e individualista che iniziò negli anni ’80, e che ha avuto come culmine nell’ultimo decennio la dottrina della guerra di  Bush;  ed in Italia, invece, il craxismo decadente (spazzato via da tangentopoli e poi ripreso gattopardescamente con il berlusconismo) che con pervasività si è inserito nella coscienza  degli italiani mettendo al centro l’antropologia del  successo e della solitudine, a scapito di una società solidale e fondata sul senso di giustizia sociale e libertà, prevista dalla nostra Costituzione.

Finendo qui le interpretazioni, forse molto banali, un po’ pessimiste e assolutamente personali sui legami tra oggi e ieri, mi soffermerò a raccontare come la mia esperienza nel Movimento sia stata occasione di crescita e mi abbia rafforzato nelle mie scelte attuali, anche se ho abbandonato da tempo l’impegno ecclesiale.

Il MSAC è stato innanzitutto un luogo di amicizie e relazioni autentiche, con persone provenienti da diverse parti d’Italia, che nonostante radici culturali e contesti di provenienza differenti si ritrovavano a pensare, studiare insieme come dire Dio nella scuola d’oggi dalla Sicilia fino al Triveneto. Questo mi ha rafforzato che l’Italia  è un paese con tante particolarità e ricchezze culturali che se si separasse perderebbe l’idea di un identità plurale.

La scelta del MSAC è stata caratterizzante per la mia vita spirituale poiché mi ha educato alla dimensione personale e comunitaria della preghiera e nel confronto intimo con la Parola di Dio. Il primato della Parola di Dio come strumento per leggere i segni dei tempi e riconoscere Cristo nella quotidianità e negli altri. La consapevolezza di quella scelta religiosa che ci fa vivere nel nostro tempo non dicendo: “questo è il miglior tempo possibile o questo è il peggiore dei tempi  in cui vivere”;  ma dicendo “solo questo è il tempo che ci è dato da vivere come un dono, ed  è in questo tempo che noi siamo chiamati ad agire come laici cristiani che scegliamo di  vivere in piena libertà e in responsabilità. “

Il Msac è stato caratterizzante  per la formazione della mia identità culturale e per la mia coscienza politica, poiché mi ha rafforzato nella ricerca di un atteggiamento critico e creativo in relazione agli studi che poi ho compiuto e alle vicende politiche e sociali del nostro tempo, dandomi l’opportunità di imparare a dialogare con credenti e non credenti ed attivare percorsi di partecipazione comune e di ricerca di un’etica condivisa. Noi definivamo infatti il MSAC come Laboratorio permanente di ricerca,così come fu descritto in W il Movimento, cioè come un luogo che ti permetteva di non avere verità in tasca di tipo ideologico, ma che ti faceva interrogare come credenti in Cristo attraverso la presenza e il dialogo sul senso e sulle scelte da prendere nella prassi.

Devo ringraziare, infine,  il MSAC per farmi avere acquisito competenze trasversali che oggi sono determinanti per la mia vita professionale e per l’impegno socio-politico. Se oggi sono consulente e formatore di gruppi di lavoro nelle politiche sociali e se il mio impegno nel Commercio Equo e Solidale mi vede molto disponibile a lavorare in gruppo e a gestire conflitti lo devo anche alla grande esperienza fatta all’interno del Movimento. Delle lunghe discussioni in Consiglio diocesano o in Consulta Nazionale, ricordo in particolare  con molta emozione, l’ultimo periodo di Consulta Nazionale a cui ho partecipato che doveva riflettere sulla riforma del Movimento. Questo è stato un momento di grande dibattito interno che ha visto protagonisti tutti i msacchini, in maniera assolutamente democratica,  che con timore e tremore hanno dovuto pensare al futuro movimento che ora vi ritrovate. Ebbene, i conflitti sulle diverse rappresentazioni del Movimento mi hanno facilitato nei compiti attuali. Imparare da 15 anni in poi  a confrontarti  con giovani e adulti (assistenti, professori, responsabili di AC…) ricercando sempre mediazioni, nonostante grandi discussioni e appassionamenti, significa sviluppare una sensibilità che in poche esperienze ho visto, e vi posso assicurare che il MSAC è una di queste.

Due sogni che lascio a voi msacchini di oggi:

-          Il primo augurio è che voi vi impegnerete ad essere promotori e protagonisti insieme a tutta l’AC di un nuovo Concilio della Chiesa Cattolica, quello desiderato dal Cardinal Martini qualche tempo fa. Un luogo dove la Chiesa si sappia mettere in discussione e sappia ritrovare l’essenzialità nella Parola di Dio, uscendo dalle secche di un moralismo sterile e sapendo riparlare al cuore dei credenti e dei non credenti, riaffermando la sacralità della coscienza di ognuno, come ci insegna il Concilio Vaticano Secondo.

-          Un secondo sogno è che  sappiate vivere questo bellissimo, anche se difficile, tempo di incontri e conflitti tra culture, etnie e religioni come un tempo donato in cui attraverso il dialogo si possa costruire una nuova etica condivisa tra uomini di buona volontà per ricercare una società più pacifica e sobria di quella che viviamo oggi.  Anche qui il ricordo va al Convegno Nazionale del 1994 “Tessere di un Infinito Puzzle”, dove come studenti di Ac ci iniziammo ad interrogare sul pluralismo culturale e religioso nella scuola.


[1]Born down in a dead man’s town/The first kick I took was when I hit the ground/You end up like a dog that’s been beat too much/Till you spend half your life just covering up…”

“Nato in una città di morti/ Il primo calcio che ho preso è stato quando ho toccato terra/ Finisci come un cane che è stato malmenato troppo a lungo/Fino a che non passi metà della tua vita a cercare un rifugio…”

[2] …Quanti pezzi di ricambio /quante meraviglie /quanti articoli di scambio /quante belle figlie da sposar
e quante belle valvole e pistoni /fegati e polmoni /e quante belle biglie a rotolar /e quante belle triglie nel mar…

Due facce di una stessa medaglia, dove il successo e lo spirito dell’individualismo di oggi, sono figli di quell’epoca.

L’esperienza del Msac: vivere un cammino di fede

sabato, 23 gennaio 2010

Testimonianza di Francesco Micunco, incaricato regionale MSAC Puglia 2002-2005

Il MSAC ha significato per me una tappa importante nel cammino di crescita umana e nella fede.

Il mio è stato un incontro tardivo e casuale, quanto determinante: provo a trarne gli elementi di fondo, quelli che hanno segnato il mio cammino.

Anzitutto, il MSAC ha significato per me la scoperta di un modo diverso di vivere: la mia famiglia è sempre stata animata da una fede profonda, e questa è stata per me una testimonianza importante; ma l’esperienza nel Movimento mi ha messo per la prima volta di fronte alla necessità di fare veramente mia quella fede, di lasciare che la luce del Risorto illuminasse tutti i momenti della mia giornata, ed in particolare lo studio, che era la mia vocazione in quel momento.

A questa scoperta ha fatto seguito quella della responsabilità, inizialmente vissuta come partecipazione alle attività, poi come incarico associativo. Credo sia stato uno dei momenti più importanti per la mia crescita vedermi affidare, nella mia scarsa capacità e ridotta conoscenza, il circolo di Movimento Studenti della mia diocesi: è stata la concretizzazione di quel percorso di partecipazione responsabile e insieme di un’ottica nuova, animata dalla fede. Non ho timore a parlare anche qui di vocazione, perché per la prima volta avvertivo di aver coinvolto il Signore in una scelta della mia vita che mi impegnava in qualcosa che non era “per me”. Il MSAC è diventato così palestra di scelte, di vita, il primo luogo in cui sperimentare la guida sicura di Dio nel lavoro per il Regno in contrapposizione ai miei limiti e alla mia umana debolezza.

Ancora, il Movimento è stato luogo di confronto con tanti modi differenti di vivere il nostro essere cristiani nella scuola, spazio di apertura alle grandi diversità che caratterizzano la nostra Associazione nel comune intento di percorrere assieme un tratto della strada che conduce all’incontro con Gesù. Da questa diversità serbo il monito a tutelare assieme i vari aspetti che da sempre il MSAC cura con le “stanze formative”: ho sempre avuto una predilezione per la Formazione, ma anni di esperienza mi hanno insegnato che nessuna realtà di Movimento è completa se tralascia anche uno solo degli aspetti. Non si può rimanere arroccati nei Centri Diocesani o nelle parrocchie, ma neppure trasformarsi in una associazione studentesca “qualunque”: avere un’identità non significa escludere gli altri, ma poterli riconoscere per quello che sono e trattare con loro onestamente, avendo il coraggio delle proprie idee, anche quando sono scomode.

Questo quello che il MSAC ha insegnato a me, che io ho cercato a mia volta di trasmettere ad altri, e che anche ora, lungo gli anni di seminario, accompagna il mio percorso.

Il ragazzo dalla felpa gialla che parlò al suo primo congresso nazionale

sabato, 23 gennaio 2010

Testimonianza di Alfredo Givigliano

Da dove comincio? Come posso parlare in così poco spazio di una cosa così tanto importante per me, per quello che sono, per quello che è stata la mia vita dall’estate prima dell’inizio del liceo fino ad oggi, per quello che sarò domani. Dovrei scrivere ogni singolo istante che ho trascorso dal giorno in cui Vittorio (si chiamerò tutti per nome o con il “loro” nome) mi ha proposto di partecipare a quel campo estivo di una cosa strana chiamata M.S.A.C.. Certo che ci vado, non si dice mai di no ad un camposcuola diocesano, soprattutto se è il primo che faccio al mare. Era il 1987. Quello è stato l’inizio, l’inizio di una qualcosa che non finisce… come faceva quella canzone? «…la nostra festa non deve finire e non finirà. Perché la festa siamo noi e camminiamo verso te…» questo è il M.S.A.C. per me, una festa, una strada mai da solo e mai senza una direzione.

Sono alla scrivania, alzo lo sguardo e vedo una foto, un ragazzino di 15 anni che parla davanti ad un microfono con una felpa di David Bowie, mi sembra ancora di sentire il tremolio di quella voce, con sullo sfondo un cartellone che dice «Dire Dio nella scuola oggi». È il 1989. È dicembre, il primo congresso nazionale dopo quell’indimenticabile camposcuola nazionale a Castel di Tora. Il ragazzino parla e mentre lo fa guarda tra le persone che gli sono sedute davanti, persone che conosce da tanto e persone che ha appena conosciuto. Persone che erano con lui allora e che sono ancora insieme a lui, in tutto quello che pensa e fa.

C’erano 2 espressioni in quegli anni che parlavano al mondo dell’Azione Cattolica e del suo Movimento Studenti; Nuova Evangelizzazione e Inculturazione della fede. Due espressioni, due progetti che mi rendo conto solo ora sono diventati davvero uno stile di vita con alti e bassi, come tutte le cose, con cadute e ritorni in piedi, ma mai da solo.

Il M.S.A.C. cos’è per me? È quello che faccio ogni giorno quando vado in Università e sono in mezzo ad una serie di ragazzi che vengono fuori da una scuola superiore così diversa da quella davanti alla quale mi ha chiesto i documenti la Digos mentre distribuivo i volantini che invitavano alle riunioni settimanali del sabato. Non è presunzione, è solo che sarei una persona diversa se non avessi incontrato, se Qualcuno non mi avesse messo davanti la possibilità di scegliere di dire questo si, questo movimento. Ma un movimento non è nulla se non c’è chi lo fa muovere.

Che cos’è il MS.A.C. per me…? Ci sarebbero mille parole da mettere insieme, mille concetti profondi da battere su questa tastiera, mille frasi ad effetto… ma chi ci sarebbe dentro queste frasi, chi ci sarebbe a riempire questi concetti, chi ci sarebbe dietro queste parole…? Questo è il M.S.A.C. per me.

È Vittorio con Vania che ci insegnano Un nuevo sol in un cortile a settembre. È Giovanna con Enzo e Don Attilio che si arrabbiamo con i Birra’s Brothers (il ragazzino con la felpa di Bowie, Roberto, Nicola, Nico, Vincenzo “James Bond”, e poi Francesco, fratelli davvero) perché dormono 3 ore a notte ma durante i lavori al camposcuola sono quelli che ci mettono tutto loro stessi, perché CI CREDONO. È Enrico, Michele, che si sforzano di fare i burberi, ma che danno forse anche più di quello che pensano se ancora sono qui a scrivere di loro. È Daniela, Laura, Antonella, Daniela, Letizia, Giulia, con la loro gioia di vivere e di scherzare in quella camera a prendere in giro i puntini sospensivi di una lettera. È Annalisa, ritrovata con una cartolina da Dublino, che un giorno racconterà al suo piccolino di quei matti che volevano parlare di Dio a scuola. È Antonella, Benny, Giuseppe “Robocop”… e tutti gli altri che le emozioni ora mi fanno scorrere davanti agli occhi e che ritrovo, ognuno di loro, in una espressione che dico, in un gesto che faccio, in una smorfia, in un libro, in una canzone.

È Qualcuno che si è mostrato in questi 1000 volti, in questi 1000 nomi. Qualcuno che ci ha solo chiesto di essere noi stessi nel posto più difficile, nella vita di tutti i giorni, a scuola, e noi, Lo abbiamo ritrovato in quelli che ci stavano vicini, che si muovevano. Posso solo dire grazie.

Il ragazzino con la felpa di David Bowie (Alfredo)