Correva l’anno 1973

Correva l’anno 1973, una domenica di fine primavera: di lì a poco avrei dovuto sostenere la maturità classica. Costretto a letto da un febbrone per nulla diplomatico, ricevetti la visita, programmata ma non per questo meno sorprendente, dell’assistente don Fortunato Spertini e dei due responsabili nazionali, Francesco Sacchetti e Madì Drello (che era succeduta da poco a Bia Sarasini nella “mitica” formazione centrale Msac di quegli anni).

Venivano per chiedermi la disponibilità a essere indicato come futuro segretario nazionale. Ad Alessandria da qualche anno era sorto un piccolo gruppo del Movimento, da noi chiamato “sabato studenti” per via del fatto che ci trovavamo il pomeriggio del sabato, in quella che allora era la Casa dell’Azione Cattolica, proprio a fianco del Vescovado. Sostenuto dal vescovo Almici, appoggiato da una parte e comunque tollerato dall’insieme dell’establishment associativo, il gruppo costituì per la mia generazione un punto di riferimento in anni a dir poco turbolenti e di grandi rivolgimenti: merito dei nostri “maggiori”, con alcuni dei quali (Luciano Piacentini tra tutti) sarebbero nate le amicizie di una vita. Per alcuni di noi, me incluso, il “sabato studenti” fu poi anche galeotto: lì conobbi Barbara, in un nebbioso e grigio pomeriggio alessandrino (alcune di queste parole sono pleonastiche), con la quale ci accingiamo quest’anno a ricordare trent’anni di matrimonio …

Pensavo di essere poco o nulla all’altezza (avevo appena compiuto diciott’anni, per di più la giovinezza del nostro gruppo diocesano mi sembrava poco consona a generare il responsabile nazionale), mi spaventava la prospettiva di sradicarmi dalla mia chiesa locale, ma avrei accettato se… fossi stato maggiorenne.

A “risolvere” per la negativa fu infatti mio papà, drasticamente contrario a che il figlio allora minore (la legge sull’abbassamento della maggiore età sarebbe entrata in vigore soltanto l’anno successivo) si stabilisse fuori casa. Ne prendemmo atto tutti, non senza rammarico, ma serenamente: l’alternativa, un ragazzo salernitano di qualche anno più grande di me, che anch’io stimavo molto, era tutt’altro che un ripiego e avrebbe fatto molto bene.

La presenza di un gruppo Msac, ancorché minuscolo, costituì per la realtà alessandrina una piccola grande provocazione. Disseminati nelle scuole cittadine (e senza indulgere ad ambigue tentazioni di “presenza” che cominciavano a manifestarsi proprio in quegli anni), ciascuno di noi era conosciuto e riconoscibile come giovane impegnato, aperto al dialogo, collegato in una rete associativa, al tempo stesso eguale e differente dagli altri.

Di quegli anni le impressioni più vive sono quelle connesse con il clima di rinnovamento conciliare e di forte attenzione alla situazione sociale e politica che respiravamo nel Movimento, soprattutto a livello di Consulta nazionale, non senza qualche sbilanciamento: ricordo che, in un gruppo di studio in occasione di un congresso nazionale, nel 1971, mi capitò di citare un passo dell’allora recentissima lettera pastorale dell’Arcivescovo di Torino card. Pellegrino, Camminare insieme, stupendomi poi non poco nel constatare che una parte dei presenti considerava tradizionale e conservatore l’approccio della lettera. Si trattava peraltro di sbilanciamenti, lo comprendo meglio ora, di superficie, debitori più di un transeunte spirito del tempo che non di una consapevole rielaborazione culturale: i nostri fondamenti restavano, saldi, quelli della scelta religiosa e della proposta della mediazione culturale, le nostre abitudini quelle di un gruppo di giovani educati al contatto con le Scritture, a momenti di revisione di vita, alla normalità della direzione spirituale.

In questo febbraio 2010 il ricordo più importante di quegli anni è però senza dubbio quello dell’incontro, nel giardino della Domus Pacis, con Vittorio Bachelet e con il suo ineguagliabile sorriso, a margine della sua ultima assemblea associativa, nel settembre 1973.

Per noi giovani il prof. Bachelet era un personaggio già allora. Lo scrivo perché ho talora riscontrato l’opinione secondo cui sarebbe stata la sua morte violenta a determinarne la notorietà e a farne apprezzare la statura: ciò vale forse per il mondo istituzionale e certamente per il grande pubblico, non per l’associazione (e neanche per quella sua costola che era ed è il Msac). Intuivamo, stando con lui, di avere a che fare con una delle grandi presenze laicali del secolo, la cui eredità, nel momento in cui egli terminava i suoi mandati, non sarebbe stato facile portare avanti. Anche per questo qualche anno dopo, il 12 febbraio 1980, compresi, insieme a tanti altri, che era stato colpito un pezzo importante della nostra vita.

Renato Balduzzi

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