Il Msac…Chi?

Testimonianza di Pippo Mariano – Msac Reggio Calabria negli anni 2000

Il primo scoglio era sempre il nome.

Se dicevi “Movimento Studenti di Azione Cattolica”, ti prendevano per l’ennesimo bigotto baciapile in missione per conto di Dio, pronto a farsi martirizzare, con gesuitico zelo, nel tentativo di rendere obbligatorio il segno della croce prima del compito di greco.

Se dicevi “Movimento Studenti” ti prendevano per l’ennesimo post-sessantottino nostalgico, che anche se non aveva l’eskimo addosso di sicuro ce l’aveva nell’armadio, in tasca il libro rosso di Mao ereditato dal padre, per segnalibro un santino di Marx.

Se dicevi “MSAC”, ti rispondevano “Chi?!?”. E per lo meno era un inizio.

E quella domanda, “Chi?”, era sempre presente nel nostro modo di programmare, di inventare, di agire.

“Chi vogliamo diventare?” Vale a dire: sogniamo un mondo diverso, efficiente, partecipato, giusto. Che tipo di uomini e di donne ci vuole per realizzarlo?

“Chi vogliamo essere?” Vale a dire: cosa dobbiamo fare oggi, come cittadini, esseri umani e in particolare studenti, per essere, domani, quegli uomini e quelle donne?

“Chi vogliamo coinvolgere?” Vale a dire: l’impresa è epica: abbiamo tanto da imparare, tanto da dire, tanto da testimoniare. Quali saranno i nostri maestri, quali i nostri compagni di viaggio, quali i destinatari della nostra azione?

Per anni abbiamo lavorato nelle scuole di Reggio e provincia, fermando la gente nei corridoi, passando parola tra gli amici, combattendo con presidi, professori e bidelli, battibeccando con genitori, preti e fedeli. Abbiamo detto la nostra nei consigli di classe e nelle assemblee di Istituto, abbiamo scritto sui giornalini e chiacchierato nelle sacrestie, abbiamo animato le piazze e provato ad accendere il cervello alle autogestioni.

Nel frattempo, tutti studiavamo (chi più, chi meno), leggevamo, facevamo sport, ci innamoravamo, ci lasciavamo, traducevamo brani insulsi da lingue impossibili, risolvevamo con metodi assurdi equazioni incomprensibili, prendevamo la patente.

Finché, un bel giorno, ci siamo ritrovati tutti diplomati.

In molti sono andati via, io sono uno di loro. Appena arrivato nella mia nuova città, ho subito trovato e avvicinato il MSAC del luogo, e mi è bastata una riunione per capire una cosa: non era più il mio posto.

La cosa più bella, più difficile, meno scontata del MSAC è forse proprio questa: ti resta dentro, ti lascia nuovi talenti, nuove idee, nuove domande, ma è una stagione che, come la scuola, come l’adolescenza, finisce.

È passato del tempo. Non ho ancora tutte le risposte ai miei “Chi?”. Non so ancora se sono e sarò l’uomo che sognavo di diventare. Ma se mi guardo indietro, so che sono stato lo studente che sognavo di essere.

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