Di seguito pubblichiamo il ricordo commosso che Francesco Sacchetti, già segretario nazionale MSAC, gli ha voluto dedicare per il sito movi100.azionecattolica.it
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Solido come le sue Montagne, ancoraggio sicuro, pieno di fiducia e di speranza, al quale sentivo di potermi appoggiare mentre cercavo una rotta per il Movimento Studenti (ed anche per me), all’inizio di quegli anni settanta percorsi da scosse telluriche di ogni tipo.
Don Fortunato Spertini non aveva paura del futuro e pertanto non frenava la ricerca se ad essa facevano da contrappeso “fondamentali”, proposti dal Concilio Vaticano II, la cui chiusura era stata proclamata appena 5 anni prima.
Giorni fa mi sono passati tra le mani alcune riviste e sussidi editi dal Movimento in quegli anni. Li ho sfogliati, ed a distanza di così tanto tempo mi sono apparsi con evidenza la densità e il limite della esperienza di quel periodo del Movimento.
Su un versante eravamo impegnati nella riproposizione costante e sempre più approfondita dei temi conciliari, accompagnati dalla “lettura” delle esperienze che i “nuovi” movimenti ecclesiali postconciliari presentavano a noi giovani.
Sull’altro versante ampia era la riflessione sulla condizione giovanile, e studentesca in particolare, quale risultante di strutture economiche e sociali, della cultura dominante e delle varie subculture che via via emergevano, e di cui i movimenti di contestazione erano lo sbocco sul piano della auto comprensione.
Con il senno del poi (cioè dell’oggi) possiamo osservare (ma lo avvertivamo confusamente anche allora) che era debole quel ponte che cercavamo di elaborare e porre tra queste due polarità, ponte che avrebbe potuto dare una identità forte al Movimento se fosse stato capace di suscitare esperienze vitali e durature, cosa quanto mai difficile per una realtà giovanile, per definizione, in continuo divenire e mutamento.
Nel dinamismo tra queste due polarità Don Fortunato Spertini ha svolto un ruolo di servizio prezioso, offrendoci quei paradigmi conciliari che spalancavano la fede sul mondo.
E lo interpretava con discrezione e rispetto, con la fatica del passo di montagna, che non aveva timore di aprire la mente allo stupore del Concilio, un po’ come i cori delle sue Alpi davanti allo splendore delle valli (ah quella benedetta “Ceseta de Transaqua”…); che non aveva timore di affrontare i sapori forti che gli stimoli del dopo concilio offrivano, un po’ come le sue grappe alla ruta, che andavano assaggiate con curiosità, sapienza, e prudenza.
Tutto questo era poi possibile per il suo atteggiamento di ascolto e di accoglienza che con naturalezza viveva, come era sempre accogliente la Sua casa, dove trovavi ad ogni ora il sorriso forte e limpido della sua Sorella.
Io e Maria Rita andammo a trovarlo a Pisogne, in quel di Brescia sul lago d’Iseo, al termine del periodo “romano”, e lo trovammo già totalmente immerso nella nuova missione, divenuto parroco come era il suo desiderio, confidato nelle giornate romane, quando ragionavamo sul nostro futuro. Perché componente fondamentale del suo sacerdozio era la ricerca del rapporto interpersonale autentico, semplice, continuativo che nell’esperienza parrocchiale riteneva poter vivere con la massima intensità.
Francesco Sacchetti