Testimonianza di Antonio Papisca, delegato nazionale studenti della GIAC e poi segretario generale della Fédération Internationale de la Jeunesse Catholique (FIJC) 1959-1966
Nel dicembre del 1959, a Buenos Aires, al termine dell’Assemblea Generale della Fédération Internationale de la Jeunesse Catholique (FIJC), fui eletto Segretario Generale della Federazione.
Nel marzo dello stesso anno avevo conseguito la laurea in Giurisprudenza con una tesi sulla personalità giuridica internazionale della Chiesa Cattolica.
Sempre nel 1959, avvenne il radicale ricambio dei quadri dirigenti nazionali dell’Azione Cattolica Italiana in tutte le sue articolazioni organizzative. Con Giovanni XXIII si aprono nuovi orizzonti ecclesiali e sociali. Presidente della GIAC viene nominato Silvio Bettocchi (sarà poi Ordinario di ostetricia all’università di Bari), Assistente ecclesiastico è Monsignor Giuseppe Lanave (sarà poi Vescovo di Andria), coadiuvato da un gruppo di V. Assistenti, tra i quali primeggiavano Mons. Giuseppe Nebiolo, grande e affascinante pedagogista, Mons. Giuseppe Casale, poi Vescovo di Foggia, Mons. Gianfranco Pastore, poi anch’egli Vescovo.
Io sono chiamato a far parte della Presidenza centrale della GIAC, inizialmente come Delegato nazionale studenti, poi come Delegato professionisti, poi come addetto alle relazioni internazionali. Venivo dall’ Arcidiocesi di Reggio Calabria, dove ero stato Presidente diocesano della GIAC. (La mia famiglia si era trasferita a Reggio dall’Italia settentrionale: sono nato in provincia di Parma da madre emiliana e da padre calabrese, a Pellegrino Parmense, il 25 maggio 1936).
A Reggio Calabria negli anni cinquanta avevo vissuto una entusiasmante esperienza di apostolato, come Presidente di GIAC parrocchiale, Delegato studenti diocesano, Presidente diocesano. L’Arcivescovo Mons. Giovanni Ferro, un piemontese della Congregazione dei Somaschi, oggi Servo di Dio con processo di beatificazione in fase avanzata a Roma, era mio padre spirituale. Anche come Presidente diocesano operavo con lo spirito proprio del Movimento Studenti, al cui interno eravamo numerosi e vivaci quanto a idee e attività di apostolato. Gli amici della FUCI si sentivano un po’… disturbati dalla nostra effervescenza Msac: loro erano una élite, noi una forza studentesca autenticamente popolare. Ma tutti fratelli, ovviamente.
A Roma arrivavo, come prima accennato, fresco di laurea e di studi internazionali, un percorso che avevo intenzione di non abbandonare. La Provvidenza volle ch’io potessi seguire questa vocazione anche esercitando il mio ruolo di Segretario generale della FIJC (con sede principale a Roma nell’antica palazzina della Torre Rossa presso la Domus Pacis), tra l’altro curando i rapporti con gli uffici di coordinamento delle OIC (Organisations Internationales Catholiques) con sede a Parigi (presso l’Unesco) e a Ginevra (presso le Nazioni Unite), partecipando a conferenze internazionali, facendo parte di gruppi di lavoro transnazionali, ecc. La FIJC godeva di status consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), l’Unesco, il Consiglio d’Europa, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), e partecipava alle varie ‘campagne’ della FAO, a cominciare dalla prima grande campagna contro la fame nel mondo.
Miei Assistenti ecclesiastici furono prima Mons. Didier Nobels, poi Mons. Giuseppe Nebiolo, poi Don Italo Mancini, professore di Filosofia nell’Università di Urbino e nella Cattolica di Milano. Rimasi in carica FIJC fino all’ottobre del 1966. Ebbi la grazia di vivere dal di dentro l’intero svolgimento del Concilio Ecumenico Vaticano II attraverso il quotidiano scambio, di idee e di emozioni, con due “Uditori Laici” del Concilio, di estrazione FIJC: il Presidente Juan Vasquez (sarà poi ordinato sacerdote), argentino, e il Presidente della Gioventù Cattolica del Togo, Bernard Adjakpley.
La FIJC riuniva le organizzazioni nazionali di gioventù cattolica analoghe alla GIAC (dal Bund der Deutschen Katolischen Jugend alla Juventud Catòlica de Chile) e curava (con grande fatica) il coordinamento dei cosiddetti Movimenti Specializzati: Jeunesse Ouvrière Catholique (JOC, sede principale in Belgio, dove risiedeva il fondatore Abbé Cardijn), Jeunesse Etudiante Catholique (JEC, sede a Parigi), Mouvement International des Jeunes Agricoles Catholiques (MIJARC, sede in Belgio). La FIJC era una delle più grandi OIC quanto a numero di associati e rappresentatività geografica. Operava all’insegna di ciò che oggi chiamiamo ‘unità nella diversità’ in un contesto di spinte centrifughe (rispetto a Roma) provenienti dai citati Movimenti ‘Specializzati’ (in Italia, dalla Gioventù Studentesca di Don Giussani). La Santa Sede ne era preoccupata ed io, nel mio piccolo, mi sforzavo di mantenere attivi i canali della comunicazione e, quando possibile, anche della collaborazione, con le varie e multiformi componenti della FIJC.
Avvalendomi anche dei miei studi internazionalistici, caratterizzai l’inizio del mio mandato con un marcato orientamento per così dire ad extra, segnato tra l’altro dalla partecipazione attiva al movimento per l’integrazione europea, in particolare alla ‘Campagna europea della gioventù’, e dalla collaborazione con l’Unesco per l’attuazione del “Projet Majeur Orient-Occident” (per la comprensione dei valori culturali dell’Oriente e dell’Occidente), antesignano degli attuali programmi di dialogo interculturale. Siamo nei primi anni sessanta. All’Unesco era Direttore Generale Vittorino Veronese, già Presidente generale dell’Azione Cattolica Italiana; a capo della sua segreteria era Ernesto Talentino, già V. Presidente della GIAC ai tempi dell’indimenticabile Carlo Carretto. Dunque, spirito europeista e spirito universalista coniugati insieme per la messa in opera di gesti e strutture di pace, con il coinvolgimento delle associazioni di gioventù cattolica nei vari continenti, comprese le associazioni in esilio dai paesi dell’Est con sede a Roma (ricordo quelle, molto attive, della Polonia, della Cecoslovacchia, della Slovenia, dell’Ukraina). Con queste associazioni in esilio avevamo frequenti riunioni, alle quali partecipavano anche loro Vescovi: ricordo in particolare l’Arcivescovo polacco Jozef Gawlina (molto cordiale) e, quando venne a Roma dopo la sua ‘liberazione,’ il Servo di Dio Cardinale Josef Beran (già arcivescovo di Praga). Quest’ultimo benedisse in San Pietro le nozze di un mio collaboratore cecoslovacco con una dirigente della Fédération Mondiale des Jeunesses Féminines, FMJF.
Il sigillo Msac operava fertilmente anche in sede internazionale nel senso di indurmi privilegiare, nelle molteplici attività culturali e educative e di apostolato transnazionale, i percorsi di dialogo e pace positiva, la valorizzazione della cooperazione internazionale soprattutto nel quadro delle istituzioni multilaterali, in primis delle Nazioni Unite.
Nel 1960 fu celebrato a Monaco di Baviera il Congresso Eucaristico Internazionale. Vi partecipò anche la FIJC a supporto di una serie di iniziative promosse dal Bund der Deutschen Katholischen Jugend, BDKJ. In quell’occasione, ricca di incontri di preghiera e di studio, partecipai con l’intero staff del Segretariato FIJC anche alla toccante processione penitenziale dei giovani cattolici tedeschi nel lager di Dachau, forse una delle prime, se non la prima, manifestazione del genere. La lunga fila di giovani era aperta dal Presidente del BDKJ che portava una grande croce di legno. Assolutamente indimenticabile!
Come prima ricordato, la FIJC collaborava con l’Unesco nell’attuazione del Progetto Oriente-Occidente. In questo contesto di fervore dialogico-interculturale organizzammo a Roma un Convegno di studio internazionale, con la partecipazione di giovani dai vari continenti (Corea, Giappone, India, Senegal, Perù…). L’apertura avvenne a Palazzetto Venezia, sede della Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, SIOI, con la cordiale partecipazione dell’allora Presidente della Repubblica, Antonio Segni. Il Convegno si protrasse per una settimana. Tra i numerosi relatori, Altiero Spinelli, che venne ad illustrare i valori ispiratori del processo di integrazione europea. Per l’occasione beneficiammo della competenza in culture orientali del Cardinale Paolo Marella e dei suggerimenti ‘diplomatici’ del Cardinale Giuseppe Pizzardo (‘Cardinale Protettore’ della FIJC: continuava allora a vigere per la grandi OIC una consuetudine analoga a quella riguardante gli ordini e le congregazioni religiose).
Come dirigenti della FIJC, avemmo due udienze con Papa Paolo VI. In particolare nel 1965 avemmo occasione di umilmente far presente al Papa l’opportunità di un intervento magisteriale sul tema della gioventù, dal cui mondo provenivano i primi segnali del malessere che sarebbe sfociato negli eventi del 1968. Ricordo l’atteggiamento di Paolo VI: affabile (stringeva forte le nostre mani) e allo stesso tempo molto, molto pensoso, quasi corrucciato.
Nell’ottobre del 1966 si concludeva il mio servizio alla gioventù cattolica internazionale. Organizzammo, insieme con Don Italo Mancini, l’Assemblea Generale della FIJC a Perugia, dove avevo trovato generoso supporto logistico. Oltre agli adempimenti statutari (elezione del Presidente, del Segretario Generale, ecc.), il programma prevedeva relazioni di illustri docenti ed esperti su temi quali i diritti della persona e dei popoli, la cooperazione allo sviluppo, i processi di integrazione regionali. A conclusione dei lavori nell’antica Chiesa di San Pietro, la Messa per la Pace fu celebrata dal Cardinale Iosyp Slipyj, che da tre anni risiedeva a Roma reduce, come noto, da venti anni di dura prigionia in URSS. Avvalendomi delle mie conoscenze nel mondo delle associazioni cattoliche in esilio, riuscii ad avere un appuntamento con il Cardinale. L’incontro avvenne nella Palazzina di Santa Marta, in Vaticano. In una stanza immersa nella penombra non mi accorsi, subito, che il Cardinale era già ad attendermi: stava ieraticamente in piedi, in un angolo, dietro le mie spalle. Quando finalmente mi girai, mi sembrò che la sua statura quasi toccasse il soffitto. Gli chiesi di venire a Perugia. La risposta fu di affettosa accettazione. Quando fu il giorno, affittammo un taxi che ce lo portò a Perugia, di fronte all’Hotel dove avevamo predisposto una sobria accoglienza. Ricordo che sul portabagagli del taxi c’era uno scatolone rotondo con le due tiare dorate per la celebrazione di una Messa per la Pace nell’antica Chiesa di San Pietro, un evento che fu di altissima commozione: con noi pregava per la pace un eroico testimone della fede.
Considero questo ultimo ricordo come il sigillo che avrebbe segnato, insieme, una conclusione e un inizio.
Nel frattempo ero diventato Assistente ordinario di Diritto internazionale, poi Libero Docente nella stessa disciplina, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma. In questa Università approdavo con un bagaglio di cultura assio-pratica, da mettere a frutto con gli studenti in un ambiente di laicità che volevo fosse, naturalmente, positiva.
Nel 1966-1967 ci fu un anno di studio e ricerca all’ONU come UNITAR-Adlai E. Stevenson Fellow per l’Europa Occidentale. Ero fresco di lettura dello stupendo diario di Dag Hammarskjold, il più grande e ispirato Segretario Generale delle Nazioni Unite, morto tragicamente in missione di pace in Africa nel 1961. A New York, tra l’altro, conobbi e collaborai con Mons. Alberto Giovannetti, originale ed estroso Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU, al quale il Segretario Generale U-Thant teneva la porta sempre aperta.
Poi venne il periodo di insegnamento all’Università di Catania (a partire dal 1970) e della fondazione nel 1971, a Reggio Calabria, dell’Istituto Superiore Europeo di Studi Politici, ISESP. L’ispirazione e il sostegno per questa iniziativa, che reagiva in modo costruttivo ai ‘fatti rivoltosi di Reggio’ (l’espressione ‘boia chi molla’ fu usata irresponsabilmente in quel contesto), vennero dal santo Arcivescovo Giovanni Ferro, ricordato all’inizio.
Alla Facoltà di Scienze Politiche dell’antica e gloriosa Università di Padova approdai nell’anno accademico 1978-1979, in un periodo di drammatiche turbolenze proprio dentro la Facoltà. Di questa venni quasi subito eletto Preside.
Nel 1981-1982 promossi la creazione del Centro sui Diritti della Persona e dei Popoli, oggi Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova che, tra l’altro, cura da qualche anno la preparazione dell’Annuario Italiano dei Diritti Umani di cui sono Direttore. Su iniziativa del Centro è stato istituito nel 1997, con sede nel Monastero di San Nicolò al Lido di Venezia, il Master Europeo in Diritti Umani e Democratizzazione, che funziona oggi all’interno di un network permanente di 41 università europee.
Sono orgoglioso di aver promosso il conferimento della laurea honoris causa dell’Università di Padova ad Altiero Spinelli nel 1982 e, nel 2006, ad Hans Blix, il Capo degli ispettori delle Nazioni Unite in Iraq.
Un’esperienza molto interessante è stata quella vissuta per qualche anno con la “Associazione Gaudium et Spes”, costituita presso l’Abbazia benedettina di Praglia nel 1987 per volontà dell’allora Abate Giurisato e su ispirazione del Cardinale Martini e di Giuseppe Lazzati (Città dell’uomo). Il Vescovo di Padova, Filippo Franceschi, che avevo ben conosciuto ed apprezzato durante i miei anni romani, mi chiese di accettare l’incarico di presidente della neo costituita Associazione. L’idea originaria era di chiamare alla presidenza Alberto Monticone, ma parve allora che in ambito CEI la cosa non fosse gradita: spiravano venti contrari alle ‘aperture’ democratiche di cui era portatore Monticone. Accettai in spirito di servizio e di obbedienza al caro Mons. Franceschi il ruolo di apri-pista, con l’intenzione però di profittare della prima occasione utile per fare eleggere Monticone. Cosa che avvenne nel giro di pochi anni.
In sede di Unione Europea, per venti anni ho fatto parte dello ‘European University Council for the Jean Monnet Programme’ presso la Commissione Europea, con il compito di incentivare l’insegnamento dell’integrazione europea nelle università europee ed extra-europee.
Al centro dei miei interessi di ricerca e insegnamento è il tema della pace. dei diritti della persona e dello sviluppo umano, declinato sia a livello mondiale (sistema Nazioni Unite) sia a livello regionale (sistema dell’unificazione europea). È lo stesso tema che, pur senza le competenze successivamente acquisite e affinate, cercavo tanti anni prima di trattare in sede diocesana di GIAC, di Movimento Studenti in specie.
La mia vita, anche di docente universitario, è stata profondamente segnata dall’esperienza di apostolato di quegli anni, motivandomi a tenere un contatto permanente con il mondo dell’associazionismo e del volontariato. Con lo stesso spirito msacchino dell’adolescenza e della prima gioventù ho collaborato intensamente col movimento pacifista italiano e internazionale perché imboccasse una volta per tutte, la ‘via istituzionale nonviolenta alla pace’, per la costruzione di un ordine di un ordine mondiale multi-livello basato sulla giustizia vera e forte, quella dei diritti che ineriscono alla dignità della persona e che sono sanciti dalla Dichiarazione Universale del 1948. Intensi e progettuali furono i rapporti con P. Ernesto Balducci. Negli anni 1995-2007, la collaborazione è stata particolarmente intensa nella preparazione per così dire tematica delle Assemblee dell’ONU dei Popoli che precedevano le Marce della Pace Perugia-Assisi.
Ho collaborato con “Mani Tese”, durante la benemerita presidenza di Graziano Zoni, e con i “Beati costruttori di pace” di Don Tonino Bello e di Don Albino Bizzotto. Ho avuto la grazia di conoscere da vicino l’indimenticabile Dom Helder Camera, che venne più volte a Padova quale membro del Comitato Scientifico del Centro Diritti Umani dell’Università, e l’altrettanto indimenticabile Abbé Pierre.
Nel 1979 mi fu chiesto di preparare un saggio sull’orientamento del nuovo Papa Giovanni Paolo II in merito agli affari internazionali. Intitolai il mio saggio “Leadership di qualità per il nuovo ordine internazionale”. E’ pubblicato nel volume a cura di Francesco Grisi “Papa Wojtyla, una certezza”, Roma, Dino Editori, 1980, ricco di contributi di illustri personalità del mondo della cultura quali, tra gli altri, Sergio Cotta, Ettore Paratore, Italo De Feo, Sergio Quinzio. Da allora ho seguito con attenzione e ammirazione i momenti salienti della ‘missio ad extra’ di Giovanni Paolo II, scrivendo articoli per Avvenire e Nigrizia e con non poche interviste a Radio Vaticana. Ho raccolto gli articoli, che ritengo più significativi, nel volume intitolato “In cammino per la pace col sillabario di Papa Wojtyla”, Padova, Cleup, 2011.
Nel 1988 fui tra i relatori al Convegno internazionale in occasione del 40° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, organizzato a Roma dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Ci fu una ristretta udienza (notturna) in Vaticano e, insieme agli altri relatori, fui presentato a Papa Wojtyla: calorosa stretta di mano, la stessa di sei anni prima a Padova, nel Palazzo del Rettorato, quando Egli venne in visita all’Ateneo e pronunciò un memorabile discorso nella storica Aula Magna ‘Galileo Galilei’. Ritengo utile ricordare che il mondo accademico mondiale, seconda antica consuetudine, ha conferito il titolo di Magnus a Giovanni Paolo II. Di questo atto solenne attesta il volume “Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia. Itinerari per il terzo millennio”, curato da A. Loiodice e M. Vari, Roma, Editrice Vaticana, 2003, con dedica: “Studia Joanni Paulo Magno a totius orbis iureconsultis oblata, PM an. XXV”. Il volume, di 1174 pagine, contiene centinaia di saggi scritti da giuristi di ogni parte del mondo. Il titolo del mio saggio è: “Vita e giustizia nell’ingegneria profetica dell’ordine di pace di Papa Wojtyla”.
L’ultimo libro che ho scritto si intitola: “Il Diritto della dignità umana. Riflessioni sulla globalizzazione dei diritto umani”, Venezia, Marsilio Editori, 2011. Contiene una sintesi di quanto pensato nel corso di decenni. A sottolinearne il senso ultimo, la copertina porta l’immagine della “Pietà Rondanini”, di Michelangelo.
Una parte importante della mia vita, quale umile operaio nella Vigna, era iniziata a Roma nel 1959 con l’udienza di Giovanni XXIII ai membri della Presidenza nazionale della Giac: il Papa buono si era soffermato con ciascuno di noi, ‘sforando’ di un’ora abbondante i tempi che il Protocollo aveva riservati al nostro gruppetto. Un altro significativo, e lungo, segmento della mia esistenza si era concluso con una udienza in Piazza San Pietro nel 2004 per la consegna al Papa sofferente del citato volume dedicato a Joanni Paulo Magno.
Ora guardo con serena fiducia a Francesco, il Papa della speranza, per un ultimo tratto di cammino. Papa Francesco parla di apostolato e di responsabilità del laicato: temi molto familiari, anzi parole d’ordine per noi giovani della GIAC negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso.
E intanto, benchè ‘Emeritus’ (cioè…pensionato) e ringraziando la divina provvidenza, continuo a insegnare nella mia Università (laurea magistrale, tutta in inglese, “Human rights and multilevel governance), a scrivere saggi e supervisionare tesi di laurea…L’ultima idea peregrina che mi frulla in testa riguarda il tema della cittadinanza nell’Unione Europea. Mi domando: perché una moneta unica, e non anche una legge europea uniforme sulla cittadinanza, che ripudi l’odioso ius sanguinis e si basi sui diritti innati della persona e su uno ius soli ‘europeo’? Continuo a riflettere e scrivere in tema di cittadinanza plurale e inclusiva, ad omnes includendos…
Antonio Papisca
Professore emerito dell’Università di Padova
Direttore dell’Annuario Italiano dei Diritti Umani
Titolare della Cattedra UNESCO Diritti umani, democrazia e pace presso l’Università di Padova
Docente di Organizzazione internazionale dei diritti umani e della pace nel Corso di laurea magistrale in “Human rights and multilevel governance” nella stessa Università
Già Professore ordinario di Relazioni internazionali e di Tutela internazionale dei diritti umani
Tag: antonio papisca, FIJC, papisca