Testimonianza di Madì Drello – Segretaria nazionale Msac anni ‘70
Erano gli anni in cui, prima di ogni altra sensazione, si provava forte l’entusiasmo per il ‘nuovo’: il Concilio da scoprire, lo Statuto dell’Azione Cattolica da attuare, l’eredità del ‘68 da comprendere, incanalare e ridimensionare. E per questo scrivevamo, a conclusione di un Convegno nazionale: “Il gruppo di M.S. non sorge e vive secondo schemi precostituiti. Il grado di profondità dell’esperienza che conduce, il luogo dove si ritrova, i gesti con cui si esprime, dipendono dalle situazioni contingenti e dalle persone che lo compongono.” Ma, nello stesso contesto, si ribadiva la scelta fondamentale dell’Associazione in cui il Movimento era nato: l’impegno nell’ambiente scolastico, all’interno della più ampia pastorale della Chiesa. Per questo si lamentava, in più occasioni, la carenza di un’effettiva ed efficace forza pastorale nelle diocesi e si affermava “che si deve operare un salto qualitativo: passare da gruppi che si ritrovano attorno ad una proposta, che si conoscono e si scoprono amici, ad essere una forza organizzata, unitaria, con determinate prospettive, superando la semplice ‘area di parcheggio’ per diventare studenti che si rivolgono ad altri studenti nella scuola e che soffrono e vivono le situazioni della Chiesa locale, non estraniandosi da essa”.
Era forte la tentazione di ‘chiudersi’, ma si comprendeva quanto fosse negativo rivolgersi solo al proprio interno, perché ’si sta bene così…’: significava, in realtà, tradire la vocazione ecclesiale, ma soprattutto mancare all’impegno di attenzione e apertura all’ambiente scolastico e alle persone degli studenti, per cui il Movimento era stato fondato.
Si parlava allora di un profondo bisogno di autenticità cristiana, di valori assoluti in cui credere, di senso di fratellanza e di comunione, di ricerca di amici con cui condividere ed agire; si insisteva sull’esigenza di possedere strumenti critici per ricercare, comprendere e discernere le problematiche della scuola e della condizione giovanile e studentesca.
Erano gli anni in cui si scopriva l’esigenza di conoscere sempre più a fondo la realtà del giovane che ‘lavora’ nella scuola, così si diceva, perché si riteneva fondamentale richiamare gli studenti sulla necessità di considerare lo studio un diritto da conquistare ogni giorno, con l’impegno serio e responsabile. Si scriveva: “E’ convinzione del Movimento che nella condizione studentesca ci sia una forte esigenza di libertà: contro di essa agiscono forze strutturali e tentativi che mascherano la restaurazione o la fuga….Nella contestazione vogliamo cogliere le istanze più profondamente innovatrici, che essa ha espresso e che sono ancora valide per gli studenti, anche se essi oggi non sono più direttamente protagonisti di un movimento di massa che cerchi di realizzarle”. Con questa valutazione si poneva l’interrogativo sulla realtà degli studenti e sui loro problemi, per individuare le linee di un intervento educativo e formativo del Movimento.
L’obiettivo appariva non facile, perché si constatava spesso un clima di profonda sfiducia nella scuola e nella possibilità di miglioramenti e di cambiamenti positivi. Per questo il Movimento sceglieva in più occasioni di passare da una fase analitica ad una fase propositiva di orientamenti comuni, che ridessero fiducia e speranza ai giovani, anche e soprattutto nella scoperta della ‘festa’ che il cristiano deve e può vivere ogni giorno.
Erano gli anni in cui si parlava “di valorizzazione delle originalità di ciascuno, di processo educativo che si sviluppa secondo un itinerario condizionato dalla maturità, dall’età, dal sesso, dai problemi delle persone”. Così affermava il documento finale del 2° Congresso del Movimento, ribadendo un punto inderogabile: la prima attenzione di un lavoro pastorale per gli studenti e degli studenti deve convergere sul fatto che lo studente è una persona situata, pertanto compito fondamentale è l’essere fedeli a quella persona, così come è storicizzata. Si ricordava allora che lo studente è, nel contempo, oggetto e soggetto di evangelizzazione, chiamato a testimoniare la propria vita cristiana in prima persona, in un contesto specifico: quello dello studio e della scuola.
Si sottolineava inoltre che impegnarsi in una pastorale d’ambiente significava mirare ad un’apertura e ad un coinvolgimento delle altre forze operanti nel mondo della scuola o interessate ad esso: gli insegnanti con cui tentare un dialogo, le famiglie a cui chiedere collaborazione.
Erano gli anni in cui si parlava di Riforma della scuola superiore…Ma forse, per questo aspetto in particolare, non serve più usare il verbo al passato. Ricordo, però, che allora, nonostante non si trattasse di un argomento molto nuovo, si credeva ancora con un certo entusiasmo alla possibilità di un significativo rinnovamento della scuola italiana.
Mi rendo conto che rischio di cadere nel pessimismo, e allora voglio concludere con una considerazione di cui sono fermamente convinta: anche quando tutto sembra rimanere ancorato al passato, anche quando non si intravedono vie alternative, senza dubbio i semi gettati in tanti anni di lavoro ed impegno associativo sono certezza per un cammino di rinnovata speranza.