Il Msac negli anni del Concilio

Testimonianza di Giuseppe Micunco del Msac di Bari (1965-1969)

Ho avuto la ventura di fare il delegato studenti della mia diocesi, allora di Bari, ora di Bari-Bitonto, negli anni 1965-1969, anni ‘ruggenti’, sia per la chiesa (si era appena chiuso il Concilio Vaticano II), sia per la società civile (si era in pieno ‘sessantotto’). È una ventura di cui ringrazio il Signore, nonostante le ‘fatiche’, ma forse proprio per le fatiche, richieste da quel tremendo momento di grazia. Le indicazioni straordinarie del Concilio, in particolare quelle in ordine al rapporto chiesa mondo, e i fermenti (ma dire fermenti è dire poco…) che agitavano il mondo sociale, e quello della scuola in modo diretto, spingevano con urgenza a rinnovamenti radicali, a una  nuova primavera della vita sia umana che cristiana.

Non è stato facile mettere tutto insieme e nemmeno cercare di ‘governare’ sollecitazioni, rivolte, istanze nuove. D’accordo con altri amici, studenti rappresentanti di vari istituti scolastici, sia sono battute due strade, che sono poi risultate in realtà un’unica strada: la strada dell’approfondimento culturale e quella della presenza attiva nelle lotte studentesche. Per la prima strada le indicazioni venivano dal Concilio: una idea più ‘sapiente’ di cultura, contro un nozionismo fine a se stesso, una cultura che guardava all’uomo e all’uomo integrale (la lezione di Maritain e di Mounier); la ricerca dei ‘semi del Verbo’ presenti nelle diverse materie da studiare, nei diversi indirizzi di studio: sono stati gli incontri più entusiasmanti, e non solo per le discipline umanistiche, ma anche per quelle scientifiche, fino ad abolire l’assurdo solco tracciato nella nostra cultura e nella nostra scuola, e a ritrovare l’umanistico nelle scienze e un rigore scientifico negli studi umanistici. Dal Concilio ci venivano ancora le sollecitazioni a riscoprire le facoltà dell’ammirazione, dell’intuizione, della contemplazione (GS 59), e poi a fare sintesi (GS 56), a ritrovare l’unità del sapere contro una frammentazione specialistica che finiva per perdere di vista l’uomo e il bene comune, mentre era urgente battersi per i poveri, e per una cultura dei poveri (le esperienze di Don Milani e Lettera a una professoressa, erano ‘sacre’ anche per i compagni ‘laici’…).

Per la seconda strada, quella della presenza attiva, si caldeggiava e sosteneva il coinvolgimento dei nostri studenti nelle manifestazioni, nelle occupazioni, nei controcorsi, nello stilare ‘documenti’ di vario genere, rifiutando, certo, ogni violenza, ma soprattutto cercando di riempire il tutto di quei contenuti culturali approfonditi negli incontri formativi, che così diventavano essi stessi dei momenti di ‘lotta’: studiare, pensare, cercare di capire era il modo più vero di lottare contro un sistema che voleva un appiattimento sul modello borghese, e piccolo borghese, di vita, un appiattimento che mortificava l’uomo, ma anche il cristiano. In questo senso le due strade prima indicate erano una sola: si studiava meglio per lottare contro il sistema, si lottava contro il sistema per studiare meglio.

La presenza e l’azione del Movimento studenti diocesano sono state provvidenziali in quegli anni, anche perché nelle parrocchie, salvo qualche lodevole eccezione, non c’era alcuna attenzione positiva a quanto avveniva, c’era anzi, spesso, un invito alla prudenza (non quella cristiana…) e a stare fuori, qualche volta anche una sbrigativa condanna del tutto come ‘comunista’… Il Movimento era peraltro, anche grazie al sostegno e alla luce del magistero di Paolo VI, ben sostenuto a livello nazionale: gli Assistenti Mons. Franceschi, Mons. Rovea, il Delegato nazionale dott. Livio Pescia, ma un po’ tutto lo staff nazionale, hanno ben operato nel senso di una sintesi tra impegno umano e impegno cristiano, e cominciava qualche scontro con GS…

Quanto il Signore ha donato in quegli anni ha segnato e segna ancora il nostro pensiero e la nostra azione. Il magistero di Benedetto XVI, ultimo quello della Caritas in veritate, e la situazione della scuola, certamente peggiore di quella degli anni sessanta, richiedono con urgenza un rinnovato impegno perché ci siano “uomini di pensiero”, per un “nuovo umanesimo”, per uno sviluppo integrale dell’uomo e di tutti gli uomini.

Giuseppe Micunco

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