Il Msac dopo il ‘68 e la scelta religiosa

Testimonianza di Francesco Sacchetti – Segretario nazionale Msac dal 1970 al 1973

Nel breve periodo che va dal 1970 al 1973 (il triennio del mio mandato) la spinta forte del ’68 stava già diminuendo la propria pervasività e creatività, mentre apparivano i segni di quella involuzione che poi sarebbe sfociata nella stagione del terrorismo. L’Azione Cattolica era impegnata a sviluppare la scelta religiosa fatta nel congresso di unificazione del 1969, scelta che si traduceva in iniziative strettamente formative nelle parrocchie. Una caratterizzazione questa “debole” (che noi del Movimento cercammo di modificare) perché l’Azione Cattolica finiva per presentarsi come uno strumento organizzativo della Gerarchia, se confrontata con l’identità dei “movimenti” che proprio negli anni ‘70 affermavano il loro ruolo, muovendosi con libertà dentro o fuori il sistema delle parrocchie, e adottando vere e proprie subculture identitarie (ad esempio dalle ceneri di Gioventù Studentesca, ancora aderente, benché solo formalmente all’A.C., nasceva e si affermava rapidamente Comunione e Liberazione). Il Movimento Studenti era in quegli anni un “avamposto” dell’Azione Cattolica in quella specifica area sociale costituita da studenti, in gran parte già dentro i processi di secolarizzazione, fuori dei contesti parrocchiali, immersi nelle provocazioni e contraddizioni della cultura post-sessantotto. Ed infatti era articolato in gruppi cittadini (presenti anche in alcune grandi città), sorti attorno a giovani laici e giovani sacerdoti che accettavano la sfida del cambiamento nell’ascolto, nella ricerca, nel dialogo con le nuove tensioni giovanili. Profondamente diversa fu allora la scelta di Gioventù Studentesca-Comunione e Liberazione che si proponeva come gruppo-comunità capace di proporre uno stile di vita compiuto diverso se non alternativo a quelli che sembravano allora vincenti nell’ambiente degli studenti, della chiesa e della società.

La proposta nazionale del Movimento era polarizzata su due fronti. Da un lato i capisaldi della scelta religiosa dell’A.C, che riassumo nella parola “Concilio”, i cui documenti vennero “amati” mentre venivano “scoperti” e “sperimentati”: come “quotidiano” vissuto nella liturgia, come confronto con la Scrittura, come popolo di Dio che prova ad autogestirsi, come apertura al mondo mentre si davano letture positive dei movimenti segnati dal cambiamento in coerenza con gli stimoli della Gaudium et Spes. L’altro fronte era costituito dal tentativo di capire e interpretare quanto stava accadendo fra i giovani studenti: di qui la ricerca di “spiegazioni” nelle correnti di pensiero (antropologico, sociologico, teologico) che come torrenti impetuosi attraversavano la società di quegli anni dando luogo ad una stagione di intense avventure culturali e di esperienze vitali come non si avranno più negli anni ‘80 e ‘90.

Queste scelte posizionavano automaticamente i gruppi diocesani-cittadini del Movimento Studenti, nei loro contesti locali, su linee pastorali diverse da quelle tradizionali: era diffusa la sensazione di stare al centro della storia e che il futuro era nelle nostre mani, in un “minestrone” di letture e citazioni, utopie, testimonianze, ingenuità, impegni, esperienze, tenute assieme da una forte speranza e da una inebriante impressione di libertà.

Non è stato un caso che il sottoscritto e Bianca Maria Sarasini, eletti alla segreteria dal medesimo congresso, fummo candidati da due schieramenti diversi, che si confrontarono apertamente, e che riuscirono a darsi, senza “inciuci”, una gestione unitaria del movimento.

E in quel clima di apertura e di frontiera fu possibile invitare come relatori fondamentali ad alcuni incontri nazionali dei dirigenti diocesani (giovani e sacerdoti) personalità quali Carlo Maria Martini, allora non ancora cardinale. Ma anche Giovanni Battista Franzoni, abate di S.Paolo fuori le Mura, animatore nel 71 del primo convegno nazionale delle Comunità di Base, oggetto di ripetute “visite apostoliche” già in quegli anni. O padre Dalmazio Mongillo, docente all’università di S.Tommaso, l’Angelicum, che solo dopo il Concilio poté fondare la prima associazione teologica Italiana per lo studio della morale. O il docente universitario di psicologia dell’età evolutiva alla Sapienza, Gérard Lutte impegnato direttamente nelle lotte dei baraccati e nel lavoro sociale con i giovani emarginati. Potemmo invitare queste persone senza censure, superando (bastarono lunghe telefonate) qualche resistenza, protetti forse (me lo chiedo con il senno del poi) da assistenti nazionali capaci di parlare a chi stava nei vicini, molto vicini sacri palazzi. E potevamo mettere nelle “antologie” preparate per i campi scuola nazionali, brani dei più diversi autori, da noi selezionati senza preventivi “confronti”, che probabilmente oggi, in queste temperie culturali, sarebbero trattati come ospiti indesiderati da molti gruppi, circoli, movimenti, parrocchie, certamente da radio Maria.

Fu una stagione di grande libertà. Così ci affacciammo, con tanta incoscienza, nel dibattito su fede e storia, su fede e ragione, su fede e religione, su fede e politica, su fede e morale, su fede e strutture dell’economia. A distanza di anni mi chiedo se ci fosse anche un po’ di presunzione, poiché mancavamo delle conoscenze dottrinali e delle capacità intellettuali per entrare in queste foreste del pensiero. Posso anche dire che era una avventura intellettuale a cui ci costringeva la condizione giovanile di allora, sollecitata da più e contrapposti maestri del pensiero, e contraddittoriamente priva ormai di punti di riferimento culturali stabili e consolidati. Ma la fede non è forse sempre ricerca, ascolto, apertura, superamento degli equilibri statici? E se questo è vero sul piano personale, non lo è anche, ed a maggior ragione, su quello culturale e sociale?

Negli ultimi mesi del mio mandato ebbi la sensazione che quegli spazi di libertà stavano per restringersi e con questo oscuro sentimento, che rivelo solo oggi, lasciai il testimone a Carlo Condorelli.

Perugia 30.01.2010 Francesco Sacchetti

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