Teresio Olivelli

10 ottobre 2013

Fonte: Voce biografica su Teresio Olivelli a cura di S. Marotta tratta da “Dizionario Biografico degli Italiani”, Treccani, vol. 79

Nacque a Bellagio (Como) il 7 gennaio 1916, secondogenito di Domenico (1883-1954) e di Clelia Invernizzi (1886-1981).

Grande influenza su di lui ebbe il fratello della madre, don Rocco Invernizzi, parroco a Tremezzo, suo punto di riferimento culturale e spirituale di tutta una vita.

Le difficoltà economiche costrinsero gli Olivelli a frequenti spostamenti in territorio lombardo: nel 1921 a Carugo, nel 1923 a Zeme, nel 1926 infine a Mortara. Qui Teresio dal 1927 entrò nell’Azione Cattolica (AC) della parrocchia di S. Lorenzo, retta da don Luigi Dughera, in cui rimase fino al 1938; la conduzione del doposcuola per gli studenti meno abbienti lo portò nel 1932 ad assumere il ruolo di delegato studenti, incarico che ricoprì fino al 1936, contemporaneamente all’impegno nella conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli, alla quale si iscrisse nel novembre 1933.

A partire dal 1931 frequentò col fratello Carlettore (1912-1984) il liceo classico di Vigevano. Nel 1934 si presentò all’esame finale con indosso il distintivo di AC, in anni caratterizzati dal contrasto tra l’associazione e il regime. Terminato il liceo, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pavia, che frequentò dal 1934 al 1938, ottenendo a partire dal gennaio 1935 un posto gratuito presso il collegio universitario Ghislieri. Punto di riferimento per i colleghi ghisleriani, rimase nel collegio fino alla laurea, conseguita il 23 novembre 1938. Grazie alla protezione del rettore Pietro Ciapessoni, ottenne una borsa di un altro anno per iniziare la collaborazione con l’Università di Torino, dove seguì il suo relatore, Piero Bodda, come assistente alla cattedra di diritto amministrativo.

Durante gli anni universitari, a partire dal 1934, affiancò all’impegno nell’AC mortarese l’inserimento nella Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI) e nelle attività sportive del Gruppo universitario fascista (GUF). La sua adesione al fascismo fu «di natura più psicologica che ideologica» (Caracciolo, 1947, p. 35): era infatti convinto, in linea col magistero di Pio XI e con l’operato di Agostino Gemelli, che il fascismo potesse essere ‘cristianizzato’, rettificandone gli errori dall’interno. Proprio su questo punto maturò la sua criticità nei confronti della FUCI di Pavia, fedele alla linea impostata dall’ex assistente nazionale Giovanni Battista Montini che aveva invitato i fucini a non compromettersi, concentrandosi soprattutto sulla formazione personale, scelta che per Olivelli suonava come intimismo culturale e soprattutto disimpegno dal sociale. Leggi il resto di questo articolo »

Campare un secolo e conservare la fede

16 agosto 2013
Testimonianza di Giovanni Bersani, condelegato nazionale per gli studenti della Gioventù Cattolica nel 1940

Intervista di Paolo Viana, Una Solidarnosc «all’italiana», apparsa su  “Avvenire” 14 agosto 2013.
L’incontro avviene a San Lazzaro, sulle colline bolognesi che parlano già di Appennino. Qui, Giovanni Bersani si ritrovò a casa nell’estate del 1944. Alle spalle un controverso armistizio, una fuga rocambolesca dall’Albania e la divisa del regio esercito. L’Italia era divisa in due, come l’ha raccontata Comencini in Tutti a casa, ma l’anziano signore che mi racconta il secolo breve dei cattolici non era un soldato qualunque che scappava: «Mi chiamò Gedda…». Quando arrivi a dare del tu alla Storia, a 99 anni appena compiuti e portati con grande lucidità, leggi le giornate in modo diverso, non necessariamente distaccato. «Voglio tanto bene a Bologna – racconta – e l’amore non se ne va con gli anni. Semmai, ripenso ai tanti incontri di questo secolo e capisco che cambiano le battaglie ma le divisioni ideologiche e i sentimenti anticristiani si ripropongono. È capitato ancora di recente, con il referendum sulle scuole paritarie».

Sotto le due torri, Bersani ha combattuto battaglie anche più dure contro un avversario che non faceva sconti – «La Liberazione iniziò con i comunisti che si prendevano tutto quello che avevano lasciato i fascisti» –, tuttavia settant’anni dopo quei fatti molte opere sociali portano la sua firma. A partire dal Cefa (Comitato Europeo per la Formazione e l’Agricoltura), fondato nel solco della Populorum Progressio. Con quest’ong Bersani ha battuto in lungo e in largo l’Africa: «E mi è costato l’udito – sorride – perché gli elicotteri allora non erano pressurizzati».

Sei volte deputato e una senatore Dc, sottosegretario al lavoro nel settimo governo De Gasperi, parlamentare europeo e vicepresidente, quando Bersani fece ritorno dall’Albania era già un leader. «Nel 1940 mi trovai eletto condelegato nazionale per gli studenti della Gioventù Cattolica. Come voleva Gedda. Persona complessa, decisivo nel cambiamento che portò il mondo cattolico dall’Italia fascista a quella repubblicana. Glielo riconoscevamo anche noi giovani che scalpitavamo per andare oltre, sul piano dottrinale e spirituale. Uno dei miei amici più cari era Giuseppe Lazzati; a Bologna era di casa, prima di diventare rettore». E poiché le lenti della storia non sono appannate di convenienze, Bersani aggiunge che quell’incarico “impostogli” dal fondatore dei Comitati civici non fu una passeggiata: «La Fuci non gradì che facessimo concorrenza in casa sua. Quando rientrai in Italia il mio primo pensiero fu di raggiungere i territori liberati dal nazifascismo e riprendere l’opera di formazione. Lo scenario tuttavia era cambiato, l’invadenza del comunismo rendeva tutto più difficile in Emilia-Romagna».

Nel 2004 il Consiglio regionale, riconoscendo il suo impegno a fianco dei più deboli, ha approvato una risoluzione per la nomina a senatore a vita. Più tardi, lo hanno candidato al Nobel per la pace: c’è stato un tempo, però, durato decenni, in cui l’impegno sociale dei cattolici in questa città non era né condiviso né sopportato. Uno dei giovani che Bersani formava era il servo di Dio Giuseppe Fanin: fu ucciso nel ’48 da militanti del Pci per stroncarne l’impegno sindacale. Era un aclista come Bersani, che dell’associazione era dirigente nazionale quando si oppose alla svolta socialista e affrontò la traversata nel deserto, la scissione e la nascita, alla fine del 1972, del Mcl. «La separazione fu lunga e dolorosa soprattutto per Montini» ricostruisce l’ex presidente del Movimento Cristiano Lavoratori, ricordando la lunghissima amicizia con «l’arcivescovo dei lavoratori», iniziata all’università nel 1933 per proseguire ai tempi della Segreteria di Stato e dopo l’elezione al soglio pontificio. Nessun dubbio né sulla consapevolezza di Paolo VI né sul dolore con cui ordinò di ritirare gli assistenti ecclesiastici delle Acli: «La deriva era iniziata alla fine degli anni Cinquanta ed aveva impensierito anche Pio XII. Montini era contrario alla trasformazione delle Acli in movimento politico, ma sperava che rientrasse, finché nel 1970 la scelta socialista di Labor non fu esplicita».

Labor rifiutava di guidare «un’organizzazione di apostolato» mentre Bersani sognava, dice, «un movimento dei lavoratori simile a quelli che c’erano in Svizzera e in Germania, in cui l’ispirazione cristiana era un connotato forte. Lo spiegai a Montini che mi diede 30 milioni di lire per acquistare le nuove sedi. Aveva talmente chiara la funzione di apostolato di un movimento cristiano di lavoratori che, allorché si ebbero dei problemi economici, intervenne per rifinanziare le attività». Il feeling si ripropose più tardi con un altro Papa, Giovanni Paolo II – «Ci fu molto vicino, parlavamo un linguaggio di promozione umana non diverso da Solidarnosc–, ma la storia ruota soprattutto intorno al Concilio e a Montini: «Diversamente da Labor credevamo che l’associazione dei lavoratori dovesse impegnarsi in una politica di formazione, di azione sociale, di partecipazione, di cooperazione in cui i cattolici non facevano propria la visione marxista ma restavano fedeli alla dottrina sociale della Chiesa». Per questo, nella temperie del ’68 e del Concilio, sotto la pressione dei mutamenti sociali indotti dall’industrializzazione, se ne andò in pezzi l’unità dell’associazionismo cattolico.

Vent’anni dopo, il mutato scenario internazionale avrebbe sancito la fine di quella politica. Bersani, che le ha vissute entrambe, non finge di compiacersene: «Avere una formazione politica che consenta ai cattolici dell’area sociale di proporre e sostenere una linea d’azione convergente resta necessario. In questo momento vediamo solo frammentazione, ma sotto la superficie si sta tentando pazientemente di tessere convergenze». I fallimenti di Todi, l’ipotesi Camaldoli… «Come nel mondo del lavoro, dopo feroci divisioni si inizia a discutere della compartecipazione dei lavoratori agli utili aziendali, il Forum delle associazioni del mondo del lavoro, cui partecipa anche il mio amico Costalli (presidente del Movimento cristiano lavoratorindr), è uno dei tavoli in cui si lavora per portare la dottrina sociale della Chiesa nell’organizzazione politica della società».

Ormai seduto dalla parte della Storia, Bersani ammette le difficoltà ma conserva tutta la tempra dei grandi protagonisti del secolo breve: «Siamo in un momento d’intervallo e bisogna stare attenti a non compromettere i valori che abbiamo trasferito nelle opere sociali, come le scuole paritarie. Nei giovani impegnati nell’associazionismo mi sembra comunque di vedere un atteggiamento come il nostro; se la situazione lo richiede sono disposti a fare la loro parte. Papa Francesco li incoraggia, giustamente. Anche dopo un secolo di vita si deve continuare a gettare la nostra soluzione oltre l’ostacolo». Infine la risposta più difficile: «Dio mi è stato vicino». Gli avevo chiesto come si fa a campare un secolo e a conservare la fede.​​

Scoprire al MSAC la propria vocazione di medico…

19 luglio 2013

Testimonianza di Giuseppe Barone, MSAC Pisa 1983

Mi chiamo Giuseppe Barone ed ho frequentato verso la fine degli anni 70 e fino al 1983 il movimento studenti di Pisa. Erano gli anni bui del terrorismo eppure il movimento era un grande centro di idee per un cambiamento ed una innovazione e dove le figure di don Claudio Masini e don Adriano Valleggi erano i nostri riferimento teologici e comportamentali. Io ero studente di medicina.Poco fa dalla vicina parrocchia del paese dove abito , Cuceglio in provincia di Torino, alcuni giovani intonavano canti che accompagnavo con la mia chitarra il mercoledì nella chiesa di S. Anna e la domenica nella chiesa si san Frediano ed un velo di commozione e di dolci ricordi della mia gioventù si è fatto sentire! Alcuni amici di quel tempo li ricordo ma sono tanti anni che non ho notizie di loro; i Prodi, Guido Boncristiani, Antonietta Antoniani, Marina Parenti.Mi ricordo un bellissimo campo estivo a Farnocchia nel 1983 dove don Claudio Masini invitò il Prof. Trivella, grande medico pisano a parlare sul senso del dolore. Il Prof. Trivella è stato poi fondamentale anche per la mia professione di medico per la sua grandissima carica umana e professionale. Vivo da 23 anni in Piemonte,faccio il medico, ma devo tanti valori umani che ho al movimento studenti di Don Claudio Masini anche se non pratico la chiesa da anni. Mi porto con me sempre quelle emozioni irripetibili di una messa con altri giovani e con una chitarra per intonare i canti che proprio questa sera  ho risentito da altri giovani che ripercorrono la mia stessa strada. Chi può mi saluti Don Claudio Masini che chi sà se si ricorda ancora di me?

Giuseppe  Barone.