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Un ricercatore medico…

domenica, 21 marzo 2010

Testimonianza di Silvio Garattini, MSAC di Bergamo anni ‘40
Posso dire di essere nato all’Oratorio di Borgo Palazzo a Bergamo. Lì ho trovato nella mia giovinezza il terreno adatto per crescere in tutti i sensi. Sono passato attraverso parecchi incarichi : delegato diocesano aspiranti, delegato regionale juniores, segretario regionale di Gioventù Studentesca, incarichi che ho vissuto con entusiasmo e che mi hanno accostato a tanti giovani e a tante straordinarie personalità. Ricordo sempre con piacere negli incontri a Milano e soprattutto a Roma le straordinarie personalità di don Giuseppe Nebiolo e di don Arturo Paoli. Sono stato affascinato dalla spiritualità di Carretto, dalla intelligenza di Emanuele Milano, dal rigore morale di Pietro Pfanner : sono stati degli esempi che hanno influenzato la mia vita. Ricordo con grande piacere tanti incontri, riunioni, ritiri spirituali : Domus Aurea, Mondragone, Via della Conciliazione, luoghi indimenticabili.
Poi lentamente i contatti si sono persi perché ho incontrato la ricerca scientifica che ha assorbito tutto il mio tempo e le mie energie per oltre mezzo secolo. Ho sempre ritenuto tuttavia quello che ritengo il vero messaggio rivoluzionario del Vangelo : ‘amerai il prossimo tuo come te stesso’ : Vorrei tanto che tutta la ricerca medica fosse sempre un atomo d’amore per chi soffre

Correva l’anno 1973

martedì, 16 marzo 2010

Correva l’anno 1973, una domenica di fine primavera: di lì a poco avrei dovuto sostenere la maturità classica. Costretto a letto da un febbrone per nulla diplomatico, ricevetti la visita, programmata ma non per questo meno sorprendente, dell’assistente don Fortunato Spertini e dei due responsabili nazionali, Francesco Sacchetti e Madì Drello (che era succeduta da poco a Bia Sarasini nella “mitica” formazione centrale Msac di quegli anni).

Venivano per chiedermi la disponibilità a essere indicato come futuro segretario nazionale. Ad Alessandria da qualche anno era sorto un piccolo gruppo del Movimento, da noi chiamato “sabato studenti” per via del fatto che ci trovavamo il pomeriggio del sabato, in quella che allora era la Casa dell’Azione Cattolica, proprio a fianco del Vescovado. Sostenuto dal vescovo Almici, appoggiato da una parte e comunque tollerato dall’insieme dell’establishment associativo, il gruppo costituì per la mia generazione un punto di riferimento in anni a dir poco turbolenti e di grandi rivolgimenti: merito dei nostri “maggiori”, con alcuni dei quali (Luciano Piacentini tra tutti) sarebbero nate le amicizie di una vita. Per alcuni di noi, me incluso, il “sabato studenti” fu poi anche galeotto: lì conobbi Barbara, in un nebbioso e grigio pomeriggio alessandrino (alcune di queste parole sono pleonastiche), con la quale ci accingiamo quest’anno a ricordare trent’anni di matrimonio …

Pensavo di essere poco o nulla all’altezza (avevo appena compiuto diciott’anni, per di più la giovinezza del nostro gruppo diocesano mi sembrava poco consona a generare il responsabile nazionale), mi spaventava la prospettiva di sradicarmi dalla mia chiesa locale, ma avrei accettato se… fossi stato maggiorenne.

A “risolvere” per la negativa fu infatti mio papà, drasticamente contrario a che il figlio allora minore (la legge sull’abbassamento della maggiore età sarebbe entrata in vigore soltanto l’anno successivo) si stabilisse fuori casa. Ne prendemmo atto tutti, non senza rammarico, ma serenamente: l’alternativa, un ragazzo salernitano di qualche anno più grande di me, che anch’io stimavo molto, era tutt’altro che un ripiego e avrebbe fatto molto bene.

La presenza di un gruppo Msac, ancorché minuscolo, costituì per la realtà alessandrina una piccola grande provocazione. Disseminati nelle scuole cittadine (e senza indulgere ad ambigue tentazioni di “presenza” che cominciavano a manifestarsi proprio in quegli anni), ciascuno di noi era conosciuto e riconoscibile come giovane impegnato, aperto al dialogo, collegato in una rete associativa, al tempo stesso eguale e differente dagli altri.

Di quegli anni le impressioni più vive sono quelle connesse con il clima di rinnovamento conciliare e di forte attenzione alla situazione sociale e politica che respiravamo nel Movimento, soprattutto a livello di Consulta nazionale, non senza qualche sbilanciamento: ricordo che, in un gruppo di studio in occasione di un congresso nazionale, nel 1971, mi capitò di citare un passo dell’allora recentissima lettera pastorale dell’Arcivescovo di Torino card. Pellegrino, Camminare insieme, stupendomi poi non poco nel constatare che una parte dei presenti considerava tradizionale e conservatore l’approccio della lettera. Si trattava peraltro di sbilanciamenti, lo comprendo meglio ora, di superficie, debitori più di un transeunte spirito del tempo che non di una consapevole rielaborazione culturale: i nostri fondamenti restavano, saldi, quelli della scelta religiosa e della proposta della mediazione culturale, le nostre abitudini quelle di un gruppo di giovani educati al contatto con le Scritture, a momenti di revisione di vita, alla normalità della direzione spirituale.

In questo febbraio 2010 il ricordo più importante di quegli anni è però senza dubbio quello dell’incontro, nel giardino della Domus Pacis, con Vittorio Bachelet e con il suo ineguagliabile sorriso, a margine della sua ultima assemblea associativa, nel settembre 1973.

Per noi giovani il prof. Bachelet era un personaggio già allora. Lo scrivo perché ho talora riscontrato l’opinione secondo cui sarebbe stata la sua morte violenta a determinarne la notorietà e a farne apprezzare la statura: ciò vale forse per il mondo istituzionale e certamente per il grande pubblico, non per l’associazione (e neanche per quella sua costola che era ed è il Msac). Intuivamo, stando con lui, di avere a che fare con una delle grandi presenze laicali del secolo, la cui eredità, nel momento in cui egli terminava i suoi mandati, non sarebbe stato facile portare avanti. Anche per questo qualche anno dopo, il 12 febbraio 1980, compresi, insieme a tanti altri, che era stato colpito un pezzo importante della nostra vita.

Renato Balduzzi

Il MSAC lascia l’impronta

martedì, 16 marzo 2010

Testimonianza di Luigi Ennio, segretario Msac della diocesi di Adria-Rovigo 1986-1989

Ebbene SI, lo confesso: nel MSAC “ci sono caduto dentro da piccolo”! Ero in prima superiore e il MSAC fu la mia “pozione magica”, come per Obelix. Dopo la cresima la parrocchia non offriva molto ai giovani in cerca di approfondire, discutere, indagare sulla propria vita e sul cammino di fede, di sognare una società migliore e si sa che quando si è giovani i sogni non sono utopie, ma progetti veri e fattibili. Nel MSAC trovai tutto questo e molto di più: un cammino serio; delle guide spirituali preparate e sapienti; degli adulti da imitare nelle scelte e nell’impegno; l’approfondimento di tematiche culturali; tanti giovani con cui confrontarsi e stringere amicizia e, insieme, coniugare i propositi in impegno concreto a cominciare dalla scuola.

E così mi ritrovai subito partecipante ad un campo-scuola nazionale dove mi chiesero di occuparmi della bancherella libri: in poco tempo conobbi tutti i presenti al campo. Alcuni mi facevano osservazioni e domande indecifrabili: “perché ci sono ancora i libri di Maritain ormai superato dal Concilio? Lazzati è un santo! Bachelet un testimone”. Non capivo se questi campisti erano masacchini stra-colti (rectius secchioni di prima categoria), super dirigenti nazionali ACI, infiltrati filosofi della FUCI … ma soprattutto temevo che alla fine del campo mi avrebbero dato come ‘compiti per l’estate’ di leggere tutta quella montagna di libri! Fortuna volle che per capire il MSAC c’era un libriccino eccezionale, illuminante nella sua brevità. Bastò quello per entrare accendere il ‘motore’ e volare di cammino in cammino, di iniziativa in iniziativa senza soluzione di continuità sperimentando la bellezza dell’affidarsi a Dio attraverso la preghiera, i sacramenti, gli incontri di spiritualità; l’impegno concreto nella scuola; l’organizzazione di momenti formativi; le scelte operative sul campo; il senso da dare allo studio; l’amore per l’ordinario vissuto con straordinarietà.

Mi ritrovai a fare il segretario MSAC di Adria-Rovigo, dal 1986 al 1989, e poi, con la scusa del “visto che sei allenato”, il vice-presidente diocesano giovani, dal 1989 al 1995. In questo ruolo osservavo i msacchini agli incontri diocesani del settore: mentre i giovanissimi seguivano il loro animatore come l’ombra del campanile, i ragazzi del MSAC si muovevano con disinvoltura, allenati com’erano ad agire in autonomia, a assumersi delle responsabilità dirette nella gestione dei gruppi d’istituto e degli organi collegiali, a tessere relazioni con tutti, a fare pastorale d’ambiente. Così, grazie alla rete dei msacchini, anche i gruppi delle parrocchie più lontane tra loro erano immediatamente coinvolti e partecipi. Il clima era raggiunto, si poteva cominciare a pregare e a lavorare in tutta serenità, straordinario!

Un’impronta indelebile quella lasciata dal MSAC che mi ha portato a rimanere sempre dentro l’ACI, a coniugare fede e vita nelle tappe successive: gli studi universitari, il lavoro, la famiglia senza dimenticare l’impegno sociale, come quando nell’estate del 1993 partecipai alla marcia pacifista MIR SADA (pace ora) nella Bosnia martoriata dalla guerra: dopo tante riflessioni sulla “partecipazione” mi sentivo in dovere di ‘prendere parte’ alla sofferenza di tanti fratelli dimenticati nella loro tragica sanguinosa tribolazione. Un’esperienza che ha lasciato un altro segno profondo e mi ha insegnato a vedere le guerre sempre dalla parte delle vittime, di tutte le vittime. Così da allora il mio impegno per la pace continua attraverso l’associazione “Beati i Costruttori di Pace”.

Del periodo MSAC sono tanti i volti di amici, assistenti, responsabili diocesani, regionali e nazionali che ricordo con un simbolico abbraccio.

Recentemente ho incontrato l’amico Franco Miano, l’attuale presidente e all’epoca vice-giovani: è bello vedere che la storia continua, i vecchi amici tornato a incontrarsi e a impegnarsi dentro e fuori l’AC anche in nome dell’amicizia, vera cartina al tornasole di tutto il nostro agire.

Quindi caro MSAC possiamo essere fieri dei tuoi 100 anni e augurarti di avere una lunghissima vita con sempre “tante inesauribili potenti energie”!