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Il Msac negli anni del Concilio

venerdì, 5 febbraio 2010

Testimonianza di Giuseppe Micunco del Msac di Bari (1965-1969)

Ho avuto la ventura di fare il delegato studenti della mia diocesi, allora di Bari, ora di Bari-Bitonto, negli anni 1965-1969, anni ‘ruggenti’, sia per la chiesa (si era appena chiuso il Concilio Vaticano II), sia per la società civile (si era in pieno ‘sessantotto’). È una ventura di cui ringrazio il Signore, nonostante le ‘fatiche’, ma forse proprio per le fatiche, richieste da quel tremendo momento di grazia. Le indicazioni straordinarie del Concilio, in particolare quelle in ordine al rapporto chiesa mondo, e i fermenti (ma dire fermenti è dire poco…) che agitavano il mondo sociale, e quello della scuola in modo diretto, spingevano con urgenza a rinnovamenti radicali, a una  nuova primavera della vita sia umana che cristiana.

Non è stato facile mettere tutto insieme e nemmeno cercare di ‘governare’ sollecitazioni, rivolte, istanze nuove. D’accordo con altri amici, studenti rappresentanti di vari istituti scolastici, sia sono battute due strade, che sono poi risultate in realtà un’unica strada: la strada dell’approfondimento culturale e quella della presenza attiva nelle lotte studentesche. Per la prima strada le indicazioni venivano dal Concilio: una idea più ‘sapiente’ di cultura, contro un nozionismo fine a se stesso, una cultura che guardava all’uomo e all’uomo integrale (la lezione di Maritain e di Mounier); la ricerca dei ‘semi del Verbo’ presenti nelle diverse materie da studiare, nei diversi indirizzi di studio: sono stati gli incontri più entusiasmanti, e non solo per le discipline umanistiche, ma anche per quelle scientifiche, fino ad abolire l’assurdo solco tracciato nella nostra cultura e nella nostra scuola, e a ritrovare l’umanistico nelle scienze e un rigore scientifico negli studi umanistici. Dal Concilio ci venivano ancora le sollecitazioni a riscoprire le facoltà dell’ammirazione, dell’intuizione, della contemplazione (GS 59), e poi a fare sintesi (GS 56), a ritrovare l’unità del sapere contro una frammentazione specialistica che finiva per perdere di vista l’uomo e il bene comune, mentre era urgente battersi per i poveri, e per una cultura dei poveri (le esperienze di Don Milani e Lettera a una professoressa, erano ‘sacre’ anche per i compagni ‘laici’…).

Per la seconda strada, quella della presenza attiva, si caldeggiava e sosteneva il coinvolgimento dei nostri studenti nelle manifestazioni, nelle occupazioni, nei controcorsi, nello stilare ‘documenti’ di vario genere, rifiutando, certo, ogni violenza, ma soprattutto cercando di riempire il tutto di quei contenuti culturali approfonditi negli incontri formativi, che così diventavano essi stessi dei momenti di ‘lotta’: studiare, pensare, cercare di capire era il modo più vero di lottare contro un sistema che voleva un appiattimento sul modello borghese, e piccolo borghese, di vita, un appiattimento che mortificava l’uomo, ma anche il cristiano. In questo senso le due strade prima indicate erano una sola: si studiava meglio per lottare contro il sistema, si lottava contro il sistema per studiare meglio.

La presenza e l’azione del Movimento studenti diocesano sono state provvidenziali in quegli anni, anche perché nelle parrocchie, salvo qualche lodevole eccezione, non c’era alcuna attenzione positiva a quanto avveniva, c’era anzi, spesso, un invito alla prudenza (non quella cristiana…) e a stare fuori, qualche volta anche una sbrigativa condanna del tutto come ‘comunista’… Il Movimento era peraltro, anche grazie al sostegno e alla luce del magistero di Paolo VI, ben sostenuto a livello nazionale: gli Assistenti Mons. Franceschi, Mons. Rovea, il Delegato nazionale dott. Livio Pescia, ma un po’ tutto lo staff nazionale, hanno ben operato nel senso di una sintesi tra impegno umano e impegno cristiano, e cominciava qualche scontro con GS…

Quanto il Signore ha donato in quegli anni ha segnato e segna ancora il nostro pensiero e la nostra azione. Il magistero di Benedetto XVI, ultimo quello della Caritas in veritate, e la situazione della scuola, certamente peggiore di quella degli anni sessanta, richiedono con urgenza un rinnovato impegno perché ci siano “uomini di pensiero”, per un “nuovo umanesimo”, per uno sviluppo integrale dell’uomo e di tutti gli uomini.

Giuseppe Micunco

L’Ac attraverso il Msac

venerdì, 5 febbraio 2010

Testimonianza di Chiara Sancin – Segretaria nazionale Msac dal 1995 al 1998

Mille volti, mille incontri, convegni, seminari, sussidi, iniziative…Creatività e intelligenza. Questo è il primo ricordo che ho dell’AC a misura di studente: il Msac. Sì, non è facile raccogliere in qualche pagina un’esperienza che ha toccato il cuore di tanti. Forse è proprio per questo motivo che ho tentennato molto prima di scrivere qualcosa. E’ come fare un esercizio severo: rileggere e sfogliare alcune pagine importanti della propria vita di cristiano, di cittadino, di uomo. Non riuscendo a scrivere direttamente al computer ho allora ripreso in mano “carta e penna”, gli strumenti tipici dello studente e ho iniziato a scrivere (a proposito non dimenticatevi mai questo esercizio: penna e calamaio, aiuta a fissare le idee!).

Il Msac per me è sempre stato e penso che lo sia tutt’ora, il modo naturale che ha un giovanissimo di AC di vivere la propria testimonianza a scuola. Il Msac aiuta il giovanissimo a completare la sua formazione, a specificarla, a incarnarla dove vive, a trovare le parole e le forme per “dire Dio tra i banchi di scuola”.

Frequentavo il ginnasio del liceo classico a Trieste, avevo già fatto l’Acr, ero entrata da poco nei giovanissimi, ma nella stessa scuola, per una strana coincidenza, ci siamo trovati in tanti della stessa parrocchia, della stessa associazione, tutti con lo stesso insegnante di religione un sacerdote saggio e colto don Libero Pelaschiar (era monsignore ma non ci teneva al titolo), già assistente diocesano della Giac, che aveva educato e accompagnato molti altri giovani nel formarsi una coscienza di cittadino. Scoprimmo poi che molti genitori di msacchini avevano avuto don Libero come loro maestro di vita; ora i figli dei figli davano vita di nuovo al Msac (don Libero è tornato alla casa del Padre oltre un anno fa e sono sicura che dall’alto continua ad accompagnare dalle sue amate vette, con il suo sguardo penetrante, intere generazioni verso l’alto).

Qualcuno più grande di me aveva partecipato agli incontri nazionali e regionali, era stato incaricato di dar vita al Movimento Studenti. Abbiamo tutti studiato a memoria W il Movimento e nel giro di poco tempo era già nato il primo gruppo di Istituto (GdI), il gruppo diocesano, la consulta, ecc. Il Msac a Trieste era oramai una realtà, una realtà nata esclusivamente per un servizio e una testimonianza nelle scuole. Tutti o quasi i componenti promotori erano iscritti all’AC, erano giovanissimi di AC; la loro formazione si svolgeva nelle parrocchie, nel gruppo giovanissimi attraverso il cammino ordinario; c’erano poi dei momenti di formazione specifica sulle tematiche scolastiche quali la partecipazione, il senso dello studio, la testimonianza a scuola, ecc. Un’impostazione che sicuramente mi sono portata dietro fino a quando sono diventata Segretaria nazionale e che ha permeato anche la riforma del Movimento.

Quanti incarichi verrebbe da dire: diocesi, regione, consulte, ecc. Mille incontri ed impegni che mi hanno aiutato a capire che cosa significa partecipazione democratica e responsabile all’interno della Chiesa, in modo laico e preparato. Anni in cui mi sono formata alla scuola del Concilio, sicuramente, con campi diocesani e nazionali anche molto molto intensi. Ma la filosofia è sempre stata quella: offrire 1000 per ottenere 10. Ancora oggi il Msac a Trieste esiste e il suo assistente è don Sandro, mio amico che ha frequentato il primo GdI del Msac. Il Msac con alti e bassi ha formato generazioni di cittadini, ora madri e padri di famiglie, che sicuramente faranno la loro parte nella storia della città e della chiesa triestina.

Quando sono stata chiamata a Roma per la Segreteria nazionale, avevo già dato tutto quello che pensavo di poter dare al Msac: diocesi, regione, e poi il collegamento con la Fuci (anche se dicevano che forse ce l’avevo nel DNA il partire per andare a Roma, mio nonno Pasquale Modestino aveva dedicato la sua vita alla scuola come Preside, era stato amico del prof. Gesualdo Nosengo, tra i primi promotori dell’UCIIM e aveva lavorato anche per i nuovi sindacati nella scuola). Allora ero segretaria unitaria dell’AC e oramai pensavo di portare in altro modo il mio servizio all’interno dell’associazione. Avevo anche una certa età 24 anni. Oggi, capisco forse il perché di quella scelta. Il Msac viveva un periodo di scelte importanti: l’AC tutta aveva bisogno di “ridirsi” il perché del Msac e dei movimenti in genere. In questo contesto l’accoppiata migliore, ma forse sarebbe meglio dire la terna migliore, era proprio quella che doveva: unire l’Italia (io del Nord, Geggio del Sud e don Mimmo pugliese doc), raccogliere la storia recente del Msac (dal congresso del 1986 io avevo partecipato a tutti i momenti nazionali, mi ricordo ancora il primo campo nazionale a Montecalvo Irpino del 1987, per arrivarci che avventura…) e l’esperienza associativa (io infatti ero msacchina, ma prima di tutto una giovane di AC che nel Msac aveva trovato il suo completamento e il suo luogo di servizio) con chi invece veniva proprio dall’esperienza pura e fresca di un gruppo diocesano del Msac.

Già da qui si può vedere la differenza tra me e Geggio, differenza che negli anni anche sofferti che abbiamo trascorso insieme nella Segreteria nazionale, è diventata ricchezza di visioni, di esperienza e soprattutto libertà di scelte. Penso e credo veramente che quelle intuizioni, sperimentate nell’esperienza locale, alla base della riforma sono quelle che oggi fanno ridire all’AC il perché della necessità del Msac e il suo senso.

95-98 una Segreteria che ha fatto forse cose particolari:

-         ha modificato la comunicazione con i gruppi creando P& D express, strumento agile, capace di ricreare quella rete tra i gruppi e i responsabili dei gruppi che era vitale per dimostrare la vitalità ancora presente del Msac in Italia;

-         ha chiuso P&D Studenti, e non mi vergogno di dirlo, non perché non lo ritenesse valido strumento di comunicazione, ma perché la società era cambiata; nelle scuole non si poteva più vendere nulla senza permessi vari, stava avvicinandosi internet, e poi bisognava scegliere se rischiare di “far innamorare” tutti i giovanissimi di AC del Msac o rimanere chiusi nella propria bella sfera di cristallo difendendo a tutti i costi la propria identità. Si è scelto di attuare “la presenza e il dialogo” aprendosi alla sfida di Graffiti, del nuovo giornale per i giovanissimi in cui veicolare le tematiche della scuola e degli studenti

-         ha cercato un collegamento stretto con il Settore Giovani, cosa che creava tensioni in molte diocesi, facendo capire che arroccarsi sulle proprie posizioni e difendere i propri recinti e ruoli non portava da nessuna parte. Noi partecipammo con fatica a tutti gli incontri del SG e cercammo di intervenire in tutte le questioni e non solo in quelle che riguardavano il Msac, ma l’AC, in quanto tale, in quanto noi, come gli altri eravamo responsabili di una parte di Ac prima di tutto. In questo modo ci siamo conquistati la stima e il rispetto di tutti (allora le presidenze erano tutte presidenze allargate)

-         ha rispolverato l’asinello come simbolo del Msac, l’ha recuperato dalla storia, abbiamo ripreso in mano vecchi documenti congressuali e anche da quella ricerca e da quel ritornare alle origini è iniziato il percorso verso la riforma

-         ha fatto la riforma. Quante notti trascorse a discutere su virgole, punti, aperture, elezioni, ecc.. Alla fine la formazione specifica (quella che io stessa avevo vissuto in modo inconsapevole quando a TS era nato il Msac), il primo annuncio (tanto caro al Msac, è stato il primo a parlarne in AC con un fascicoletto arancione che ancora conservo), gli orientamenti culturali, i punti d’incontro (il vecchio gruppo di Istituto aperto a tutti quelli che credono in una scuola nuova).

Il Msac e questo lo ricorderà bene Geggio per le lunghe discussioni, questo era il mio pallino: non era il gruppo diocesano, così sarebbe morto di morte naturale, ma doveva essere un’idea, un ente, un insieme di tante cose, e di tanti momenti che poi portati ad unità formavano il Msac. Solo così poteva avere un futuro. Era difficile da capire, e anche la consulta nazionale faticò, ma alla fine il nuovo W il Movimento era nato, in quel gennaio del 1998 con tanto sacrificio. Era quella la strada per un vero movimento di AC, capace di creatività, di freschezza, di elasticità. Era potuto nascere solo quando ci si era liberati dalla paura di perdere la propria identità, nella libertà anche di chiudere il Msac, si era ragionato, si era discusso e l’AC tutta aveva riscelto il Msac con queste nuove specificazioni come modalità principe per i giovanissimi di Ac di testimonianza e di servizio all’interno della scuola.

E’ stata un’idea giusta? Abbiamo rischiato troppo? La risposta l’ho avuta quando ho partecipato alla SFS di Chianciano, dove ho visto realizzate le parole e le idee che erano solo state pensate. E allora mi è venuto in mente “Se il chicco di grano non muore”, in qualche modo il Msac era allora morto, ma per rinascere e ripensarsi e proprio grazie a questo non era morto, ma era stato come un albero potato per portare più frutto. La miriade di studenti che parlavano e si interrogavano di scuola, un momento di formazione per tutti gli studenti, promosso dall’AC tramite il Msac: il sogno si era realizzato. Non avevamo sbagliato. La bontà di quelle faticose serate e nottate anche a volte finite con litigi e incomprensioni avevano portato un frutto molto più grande, avevano creato qualcosa di nuovo e di soggettivo per lo studente. Se solo tutta l’Ac sapesse farne tesoro, il movimento potrebbe veramente essere quel volano per “dialogare e incontrare” a scuola. Soprattutto oggi che con l’autonomia si possono fare tante e tante cose.

Potrei scrivere ancora pagine e pagine, ricordare alcune pubblicazioni, Parole in onda o ancora Per una spiritualità dello studio o la mitica relazione fatta da me e Giandiego in forma recitata rivolgendoci con il tu verso i presenti (esercizio di creatività!) o ancora i collaboratori centrali Carlo, Stefano, Elena, Andrea, Mara e sopratttutto don Mimmo Amato che con la sua saggezza e comprensione ha saputo tenere insieme queste due capetoste come me e Geggio (penso solo perché riusciva a guardare più lontano di noi).

Alcuni ultimi pensieri:

-         l’Ac attraverso il Msac mi ha insegnato che cosa significa fare esperienza di Chiesa, chiesa che fa soffrire e che ha i suoi tempi, ma che è anche profetica e abbraccia tutti, sceglie e ragiona

-         oggi che tengo un gruppo di adolescenti in parrocchia, in una città che non è quella mia natale, sto applicando il metodo del Msac: sto osando molto con questi ragazzi, dare 1000 per ottenere 10. E l’immagine mi torna agli anni in cui iniziavo a frequentare i gruppi, a fare domande e mi fa dire che gli studenti sono sempre e dovunque desiderosi di dialogo e di conoscenza. Il Msac e l’Ac mi ha insegnato a pormi le domande prima di avere mille risposte; anche oggi questo è il segreto: luoghi dove potersi interrogare, essere creativi, programmare, progettare, dare fiducia al protagonismo giovanile. Quella fiducia che io ho ricevuto nei miei anni giovanili e che mi ha fatto anche sbagliare, ma mi ha permesso di crescere come donna, come cittadina e come cristiana.

-         l’AC mi ha fatto conoscere il Msac, il Msac mi ha portato a Roma e da lì sono ritornata a Trieste a fare la vita di tutti i giorni (cosa che dovrebbe succedere normalmente, la laicità è ritornare alla vita di tutti i giorni, nella propria parrocchia, nella propria diocesi, nella propria città, nella propria associazione), ma sempre l’AC mi ha riportato a Roma dove ora sono donna felicemente sposta con Gianni, giornalista di Segno. Ricordatevi i progetti di Dio sono sempre imperscrutabili!

Il mio invito ad ogni giovane di Ac che ha incontrato il Msac e ad ogni Msacchino che spero incontri l’Ac è questo:

“studenti siate protagonisti del vostro tempo, del vostro spazio, del vostro luogo, ricordate di fare memoria della storia, della storia personale, della tua città, della tua associazione, perché è da lì che vieni, lì stanno le radici, lì inizia quel filo rosso che ti ha portato all’oggi; usate la creatività e la curiosità e l’intelligenza per leggere dentro alle cose e usate della libertà e del coraggio per scegliere e discernere con ragione nella vita”.

Questo è quello che a me ha insegnato il Msac, spero che lo insegni anche a voi.

Con affetto

Lontani ma ricchi ricordi

sabato, 30 gennaio 2010

Testimonianza di don Giovanni Ciravegna – Assistente Msac anni ‘70

Erano gli anni degli entusiasmi giovanili del dopo-Concilio, delle grandi innovazioni in tutti i campi e, per la scuola italiana, dell’entrata in vigore dei Decreti Delegati, del vivo e sincero desiderio di poter realmente partecipare, con tante speranze che anche l’esperienza scolastica potesse diventare quella realtà più vivibile e vera fucina di crescita umana. In modo tutto particolare poi i giovani del Movimento Studenti attendevano quella agognata riforma della scuola superiore (quanta attesa!), per la quale hanno speso giornate di studio, dibattiti, animazione di assemblee,  analisi e verifiche di proposte di riforma provenienti da gruppi e schieramenti politici diversi.

Ma erano anche gli anni che tristemente verranno poi battezzati come “anni di piombo” e non si possono dimenticare i viaggi in treno sulla linea Torino-Roma, con quelle fermate improvvise per dare spazio alle perlustrazioni per rassicurare i passeggeri da eventuali attentati.

Erano gli anni in cui si prestava servizio part-time, in aiuto a don Fortunato Spertini in attesa che il Movimento Studenti avesse il nuovo assistente nazionale nella persona di don Giuseppe Valensisi, mentre la Segreteria nazionale era affidata a Madì Drello di Alba e ad Umberto Folena di Padova.

Tanti ricordi legati prima di tutto alle persone, molte in particolare si vedono oggi attive in campi importanti ed ambiti diversi: grazie anche all’esperienza vissuta nel MSAC, che è stata sicuramente una valida palestra di addestramento ed ha saputo offrire nella proposta educativa autentici valori per le scelte future. Ricordi legati agli incontri con i vari responsabili per programmare convegni e giornate di studio, preparare sussidi, scrivere articoli, organizzare campi-scuola.

Un ricordo tutto particolare è legato ai due Campi Scuola estivi nazionali dell’estate 1974, vissuti a Torgnon (Val d’Aosta) e a Palmi (Reggio Calabria) sul tema della “Evangelizzazione e penitenza: la Chiesa nel mondo e il senso del peccato”, con relazioni su esperienze di vita comunitaria e di fede per studenti che ricercano un impegno cristiano nella scuola, con approfondimenti e gruppi di studio sulla proposta educativa, associativa e pastorale, specifica del Movimento Studenti, sulla problematica della scuola secondaria, sulla conversione come esperienza personale e comunitaria.

Come non ricordare l’autentica gioia vissuta da tanti studenti giovani e giovanissimi nello scoprire e gustare la lettura e la meditazione della Parola di Dio? E’ stato sicuramente questo uno dei primi e principali doni del Concilio, ed i Campi Scuola – vissuti nella serenità e bellezza delle montagne o nella calura del mare – sono stati per molti occasione di aprire forse per la prima volta la Bibbia e, si spera, continuare poi in seguito.

Vivissimo è il ricordo di quelle meditazioni sulla Parola tenute dal gesuita Carlo Maria Martini, allora Rettore del Pontificio Istituto Biblico, nelle mattinate che davano inizio ad un Convegno nazionale a Roma: lettura breve, pacata, incarnata nella vita dei presenti, da far gustare in quella grande sala il vero sapore della Parola.

In un articolo preparato per il primo numero in cui il periodico del Movimento Studenti Presenza e Dialogo, da ciclostilato passava alla stampa per inserirsi tra i Quaderni di pastorale giovanile, insieme con Madì Drello si tentava una riflessione per mettere in evidenza l’apporto educativo del Movimento, e scrivevamo che si corre da più parti il rischio di riempirci la bocca della bella formula “mentalità di fede”, ma è certo che per molti, giovani e adulti, Cristo è più “sconosciuto” che non “rifiutato”. Continuamente il suo nome viene pronunciato in diversi modi, ma ci si ferma troppo poco ad esaminare e ad aiutare il processo di crescita che comporta il rapporto interpersonale con la persona di Cristo stesso. Soprattutto i più giovani corrono facilmente il rischio di giungere ad un’idea del Cristo come modello statico da imitare; troppo spesso rimane ai margini: i giovani sanno tante cose di Lui, ma non lo “conoscono”; hanno appreso notizie sulla sua vita e sulla sua persona, ma non lo hanno “incontrato”; leggono ed ascoltano la sua parola, ma non la assimilano. In tal modo non è possibile dare una risposta personale e decisiva.

Erano gli anni in cui, nell’impegno della Chiesa italiana per rinnovare tutto l’impianto catechistico, si era in attesa di un vero catechismo per i giovani (arriverà presto Non di solo pane), e scopo preciso e fondamentale del Movimento non poteva che essere quello di far incontrare gli studenti con il Gesù del Vangelo, in quell’esperienza di vita di gruppo come vera propedeutica al senso di appartenenza alla Chiesa: un cammino di annuncio, di proposte, di impegni, di sacrificio e donazione. Vero orientamento pasquale di tutta l’esistenza: vita di ininterrotta conversione evangelica, vita di donazione totale con Cristo, vita sostenuta dalla gioia e speranza del Cristo risorto.

Questo tentava di fare il Movimento Studenti in quegli anni; questo è chiamato a fare ogni gruppo di giovani che si sente convocato ad essere Chiesa del Signore.